1 e 2 lettera di Paolo a Timoteo

Il nome Timoteo letteralmente significa “colui che onora Dio”.
Egli era un giovane credente di Listra (Atti degli Apostoli 16:1), nell’odierna Turchia, figlio di un greco e di una donna ebrea. La madre e la nonna di Timoteo lo avevano educato alla conoscenza delle Sacre Scritture sin dalla sua infanzia (2 Timoteo 1:2). Timoteo godeva di una buona reputazione tra i credenti di quella regione, tanto che Paolo nel suo secondo viaggio missionario, ripassando da quelle zone, lo volle come collaboratore. Da allora lavorò fianco a fianco nell’opera del Vangelo con Paolo, il quale, a volte, lo mandava in missione con dei compiti particolari.

La prima lettera a Timoteo riporta che egli ricevette l’incarico di recarsi nella chiesa di Efeso per risolvere dei problemi che vi si erano venuti a creare (1:3).
Anche lui, come Paolo, finì in prigione per la fede ed infatti in Ebrei 13:23 si accenna ad una scarcerazione. La tradizione vuole che sia morto martire in un tumulto popolare ad Efeso, sotto l’imperatore Nerva. La particolare situazione storica dietro queste due lettere non è facile da ricostruire. Sono indicati luoghi geografici dove Paolo si era recato di recente, ed è evidente che poco prima di scriverle, egli aveva viaggiato in Asia, a Creta ed in varie parti d’Europa. Sembra che l'apostolo sia ritornato a Roma nel periodo in cui scriveva la seconda lettera a Timoteo.
È difficile inserire tali dati storici nel racconto riportato nel libro degli Atti degli apostoli, dunque è probabile che i movimenti di Paolo descritti in queste lettere debbano essere collocati dopo gli arresti domiciliari menzionati alla fine del libro degli Atti.
Paolo sembra rendersi conto che il suo tempo su questa terra sta finendo e la sua preoccupazione è dare delle linee guida a coloro che continueranno la sua missione e occuperanno posti di responsabilità. Egli sta valutando la necessità di confermare certe disposizioni per l’organizzazione della chiesa e indicazioni riguardo ai responsabili delle comunità, istruzioni che aveva già trasmesso oralmente ai suoi collaboratori (Tito 1:5).

Nella prima lettera, Paolo manda al suo discepolo una serie di consigli pratici, per aiutarlo a trattare con saggezza i problemi che sorgevano nella comunità cristiana di Efeso. Ad Efeso le conversioni si moltiplicavano e i cristiani si riunivano in centinaia di piccoli gruppi in varie case, sotto la guida di alcuni anziani o vescovi. Sembra che il compito principale di Timoteo fosse quello di preparare gli anziani a svolgere il loro compito di cura pastorale, infatti Paolo fornisce un quadro completo delle responsabilità di un servitore di Dio.
Timoteo viene incoraggiato ad essere un esempio e a mantenere un fermo atteggiamento contro le false dottrine.
Al termine Paolo si sofferma sul malsano desiderio di diventare ricchi e sul pericolo di considerare la religione come fonte di guadagno. «L’amore per il denaro »- scrive - «è la radice di tutti i mali.»

La seconda lettera che Paolo scrisse a Timoteo è anche l'ultima di cui abbiamo testimonianza, cronologicamente parlando (siamo intorno all’anno 65), e possiamo considerarla il suo testamento spirituale. Paolo si avvicina alla fine della sua vita: è a Roma, ma stavolta incatenato come un criminale (2:9). Abbandonato da quasi tutti, attende il martirio (4:6). Nel frattempo, i cristiani si perdono in chiacchiere inutili (2:16), ci sono quelli che si oppongono alla verità del vangelo (3:8), mentre alcuni addirittura se ne allontanano, sotto l’influenza di falsi insegnanti (4:3-4).
Così questi quattro capitoli contengono le commoventi esortazioni di un uomo di Dio, ormai vecchio, che trasmette le sue ultime istruzioni al discepolo Timoteo. Con fervore lo incoraggia a perseverare, a esortare i credenti, ad adempiere al suo ministero di evangelista. Paolo ricorda a Timoteo la grande eredità spirituale ricevuta dalla madre Eunice e dalla nonna Loide. Era stato chiamato ad essere guida per la chiesa, doveva farsi coraggio e lasciare da parte le sue paure. Con una serie di brevi immagini, Timoteo riceve indicazioni da cui trarre ispirazione per forgiare il suo temperamento: per essere come un soldato, un atleta, un agricoltore, uno che sa soffrire, che sopporta la fatica.
In 83 versetti Paolo descrive incisivamente le diverse caratteristiche della vera vita cristiana, rilevando che non si cammina con Cristo senza soffrire, e questo pensiero è come un riflesso dell’ultima esperienza che egli sta vivendo. Lo consola il fatto che può contare su Timoteo che è in grado di prendere il testimone dalla sua mano, quando egli stesso avrà terminato la sua corsa.

A chiusura della lettera, Paolo parla di se stesso, dando l’immagine di un uomo solo, abbandonato dagli amici, desideroso del suo mantello per scaldarsi e di riavere i suoi libri. Desidera avere una presenza amica nell’ora della prova e invita il suo caro Timoteo a raggiungerlo prima che arrivi l’inverno.

C’è un tema che viene ripetuto e può essere usato come chiave di lettura. Per ben quattro volte l’apostolo usa l’espressione “Non avere vergogna ” (1:8, 12, 16, 2:15).

Questa frase è ancora oggi un'esortazione per ciascuno di noi: Cristo non ha avuto vergogna di insegnare, guarire, essere deriso, fustigato, ucciso per salvarci.

Noi siamo pronti a non avere vergogna di Lui?

 

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