Lettera di Giacomo

Giacomo è un uomo che ebbe il privilegio di conoscere Gesù in modo intimo, diremo familiare.

Possiamo individuare come autore di questa lettera quel Giacomo che era la guida della chiesa di Gerusalemme. Giacomo è il primo di un elenco di quattro uomini che i Vangeli di Matteo e Marco indicano come i fratelli di Gesù (ti consigliamo di leggere in merito l'approfondimento "I fratelli di Gesù").
Secondo quando afferma Paolo nella prima lettera ai Corinzi, capitolo 15 verso 7, il Cristo risorto “apparve a Giacomo”. Fu probabilmente tale esperienza a indurlo alla conversione insieme al resto della sua famiglia.
Una notizia pervenutaci attraverso Giuseppe Flavio ed Egesippo, racconta che poco prima della distruzione di Gerusalemme ad opera dell’esercito romano (70 dC), quando molti Giudei stavano abbracciando il cristianesimo, il sommo sacerdote Anano, gli Scribi e i farisei (60-66 aC) riunirono il Sinedrio e comandarono a Giacomo di proclamare da una delle gallerie del tempio che Gesù non era il Messia. Ma Giacomo gridò invece che Gesù era il Figlio di Dio ed il Giudice del mondo. Allora i suoi nemici infuriati lo lapidarono, finché qualcuno pose termine alle sue sofferenze con una clava mentre egli era in ginocchio pregando: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Siamo intorno all’anno 62 dC.


Il contenuto della lettera è basato su argomenti pratici: l’autore insiste sulla fede che agisce.
L’epistola è rivolta “alle 12 tribù disperse nel mondo”, a sottointendere che lo scritto è indirizzato a ebrei convertitisi al cristianesimo, dovunque essi si trovino.

Subito dopo i saluti l’autore consola i lettori che si trovano nella sofferenza. Li incoraggia a rimanere fermi nella fede, mostrando loro da dove proviene la tentazione (1:2-21). Poi spiega ai cristiani che la fede vera non è fatta solo di parole, ma dal mettere in pratica la Parola di Dio (1:22-27). Aggiunge che esercitare preferenze a favore di alcuni, discriminando i più poveri è un peccato (2:1-3). Chiarisce come si manifesta la vera fede, che altrimenti senza le opere è morta (2:14-26). Esorta a tenere a freno la lingua (cap 3), sollecita ad abbandonare lo spirito litigioso e la fiducia riposta nella ricchezza (4.13 a 5:6). La lettera conclude con un incoraggiamento ad essere pazienti nella prova, costanti nella preghiera e attenti a ricondurre alla fede il peccatore smarrito.

Giacomo si schiera apertamente contro la fede solo intellettuale, il semplice “credere” che anche i demoni posseggono (2:19): le opere buone che si compiono sono i frutti di una vita veramente trasformata in Cristo.

Come abbiamo visto nella lettera di Paolo ai Romani, Dio conosce esattamente se abbiamo fede in lui e nel sacrificio di Cristo, e solo questo potrà renderci giusti davanti al suo cospetto. Giacomo però sottolinea un'altro aspetto: quando crediamo, la nostra vita cambia, e le opere che possiamo compiere dopo questo passaggio testimoniano di cosa è avvenuto in noi lasciando nel cuore degli uomini che le osservano la certezza che qualcosa è successo.

Il messaggio di Giacomo si ripercuote su tutti noi oggi: la fede separata dall’etica, le parole non seguite da fatti concreti, sono inutili. La Parola di Dio non va solo ascoltata, ma messa in pratica. La fede non va soltanto dichiarata, ma vissuta.

 

 

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