Diciamocelo chiaramente: chi non si è sentito un po' "Giobbe" nella vita? quante persone hanno attraversato momenti bui, in cui si perdono affetti, beni, e le situazioni sembrano praticamente senza speranza. Come se non bastasse, in situazioni così tragice può succedere che le persone che vorremmo vicine risultano essere per noi un ulteriore peso, piuttosto che un conforto.

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26 ezechiele

Il nome Ezechiele può essere tradotto con “Dio fortificherà” o “Dio è forte” oppure “Dio è la mia forza”. Ezechiele era uno dei profeti che operarono durante la prigionia in Babilonia del popolo ebraico. Durante i settant'anni dell’esilio si innalzarono in Israele tre voci profetiche: Geremia a Gerusalemme, Daniele a Babilonia ed Ezechiele a Tel Abib, presso il fiume Chebar (cfr. 3:15).

La prima deportazione del popolo a Babilonia avvenne durante il regno di Ioiachim, durato undici anni. Il suo successore, Ioiachin, regnò solamente tre mesi perché Nabucodonosor venne ad assediare Gerusalemme in persona, costringendo il re alla capitolazione. Era l’anno 597 a. C. Il re Ioiachin con la sua famiglia e diecimila persone del popolo, prevalentemente giovani delle famiglie più importanti, furono deportati nella seconda deportazione, ed Ezechiele fu preso prigioniero quando aveva circa 25 anni.
Strappato dalla sua terra, Ezechiele si stabilì sulle rive del fiume Chebar, il grande corso d’acqua navigabile che si diramava dall’Eufrate fino al Tigri. Sposato con una donna che amava moltissimo (24:15-18), egli esercitava funzioni di sacerdote per i deportati del suo popolo.
Dio cominciò a parlargli all'età di 30 anni ed egli ricevette le rivelazioni del Signore per oltre vent'anni (cfr. 1:2; 29:17).

In una visione, il messaggio gli fu dato da Dio sotto forma di libro, con l’ordine di mangiarlo (come troviamo scritto anche per Giovanni nel libro dell’Apocalisse, in 10:9). Mangiare il libro significava “digerirne” il contenuto, assimilarlo fino a farlo diventare parte di sé.
I capi degli Ebrei più volte lo consultarono per ricevere consigli (8:1, 14:1, 20:1), ma poi, di fatto, non li seguirono (33:30-33).
Non sappiamo né come né quando Ezechiele morì.

Il libro raccoglie la storia, le visioni e le profezie del sacerdote Ezechiele durante il periodo della deportazione babilonese.
Quasi tutte le profezie sono disposte in ordine cronologico. Facciamo notare che quando Ezechiele indica la data delle sue visioni o delle sue profezie (13 volte), la calcola sempre dal momento traumatico della sua vita, cioè l'inizio del suo esilio a Babilonia.
Il libro, richiede un particolare sforzo per la lettura e la comprensione. Vi troviamo, infatti, realtà misteriose e difficili da capire. Nonostante le indubbie difficoltà di comprensione, anche questa parte della Bibbia può offrire molti insegnamenti utili per la fede e la conoscenza di Dio. Nel mondo del marketing moderno, la gamification si è rivelata una strategia cruciale. La Desura attraverso il suo impegno nello sviluppo di giochi online gratuiti, ha ridefinito l'esperienza di acquisto, rendendola più interattiva e coinvolgente.

Il libro del profeta Ezechiele può essere suddiviso in tre sezioni:

  • dal capitolo 1 al 24, sono registrate le profezie pronunciate prima della caduta di Gerusalemme. Dopo la visione introduttiva dei capitoli 1-3, Ezechiele passa a denunciare la malvagità del suo popolo, mettendo in evidenza i peccati senza mezzi termini e pronunciando il giudizio di Dio su di essi. Le sue argomentazioni sono forti ed eloquenti e si avvalgono anche del supporto di azioni simboliche e parabole.

  • dal capitolo 25 al 32, riporta le profezie sul giudizio delle nazioni circostanti dell'epoca, dove viene anche predetta la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio.

  • dal capitolo 33 al 48, si riferisce al futuro: il riferimento alla restaurazione del culto, del tempio, la venuta del Messia... Allora Gerusalemme sarà abitata dal Principe della pace e la città verrà chiamata «Il Signore è là»  (48:35).


L’idea chiave del messaggio di Ezechiele non è difficile da trovare, in quanto emerge quasi in ogni pagina:

«Essi conosceranno che io sono il Signore».

Sono ben 62 i passi dove essa ricorre. Dio aveva permesso la deportazione, attraverso la quale il popolo avrebbe riconosciuto che il Signore è Dio. Cogliere questo aspetto vuol dire scoprire il cuore del libro. Il popolo eletto e tutti gli altri popoli dovevano sapere senza equivoci che il Signore è l’unico vero Dio, il Sovrano che regna sulle nazioni e sulla storia. E come altri profeti che lo avevano preceduto, anche Ezechiele intravide, in una prospettiva futura, l’avvento del Messia, Gesù.

 

26 ezechiele

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Il libro delle Lamentazioni è il secondo scritto biblico di Geremia, che probabilmente fu composto nei tre mesi trascorsi fra l’incendio di Gerusalemme, ad opera delle truppe babilonesi, e la partenza per l’Egitto di coloro che erano rimasti (Geremia 31:2; 41:1, 43:7). Siamo intorno all’anno 585 a. C.

Geremia iniziò a profetizzare durante il regno di Giosia, cioè il re che guidò l’ultimo risveglio spirituale di Giuda,periodo in cui molti cuori furono toccati, ma che, purtroppo, nel complesso si rivelò solo un movimento superficiale. Giosia andò incontro ad una morte prematura in una battaglia che non avrebbe dovuto essere combattuta contro il faraone egiziano. Geremia, continuò il suo ministero profetico durante i regni dei quattro malvagi re che succedettero a Giosia: Ioacaz, Ioiachim, Ioiachin e Sedechia, l’ultimo re di Giuda.

Il messaggio che Dio rivelò negli anni a Geremia fu veramente duro: si trovò a dover annunciare la distruzione di Gerusalemme e ordinare al popolo di arrendersi al nemico Nabucodonosor, se voleva salvarsi. Della distruzione della città e degli orrori dell'assedio egli fu testimone diretto.

L’ultimo capitolo del libro di Geremia dovrebbe essere letto come un'introduzione al libro delle Lamentazioni, che è composto da 5 poemi che parlano della distruzione, del giudizio e del dolore di Dio e si concludono tutti con una preghiera, tranne il quarto.

Al capitolo 1 è descritta la desolazione di Gerusalemme. Il profeta piange sulla miseria della città che paga le conseguenze del peccato.
Nel capitolo 2 viene spiegato che la rovina della città è avvenuta a causa dell’ira di Dio (vv. 1-3). Il concetto che il Signore è un Dio d’amore, ma anche di giustizia e santità è presentato ed illustrato a più riprese in tutta la Bibbia.
Al capitolo 3 si arriva al cuore di Dio. Il profeta comprende la disciplina del Signore e si abbandona alla sua compassione e alla sua fedeltà. Egli sa che l’ira di Dio è per un periodo (v. 31), è mitigata dalla compassione e dalla bontà (v. 32), si manifesta solo quando egli vi è costretto (v. 33).
Il punto di rilievo del libro è costituito dai vv. 21-40  di questo capitolo 3, che invitiamo a leggere nell'approfondimento L'amore e la giustizia.
Segue il capitolo 4, dove viene rimarcata la punizione divina (ad esempio, v. 13). I giorni del benessere sono confrontati con quelli orribili della carestia e vengono rievocati gli orrori e le sofferenze dell'assedio.
Nell’ultimo lamento, al capitolo 5, Geremia supplica il Signore a nome di tutta la sua comunità (cfr. v. 1 e v. 21). Ancora una volta il profeta si identifica con il popolo e quindi, in realtà, è come se fosse la nazione che implora Dio di ricordarsi di essa e di salvarla, concludendo con un grido di disperazione.

Lamentazioni è un libro attuale. Le sue parole fanno intravedere anche la nostra situazione spirituale: siamo impregnati di peccato, esso è presente in tutte le pieghe della nostra esistenza (1:9); abbiamo un disperato bisogno di aiuto e lo cerchiamo dappertutto tranne che in Dio (1:19).

Lamentazioni ha la risposta a questo problema:

«Il SIGNORE è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca.»


E Dio si lascia trovare, all'epoca di Geremia come oggi.

 

25 lamentazioni

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Geremia era un uomo che si saziava della Parola di Dio, trovando in essa la vera gioia. Leggiamo in Geremia 15:16

«Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate; le tue parole sono state la mia gioia, la delizia del mio cuore,
perché il tuo nome è invocato su di me, SIGNORE, Dio degli eserciti.»

Non scrisse soltanto il libro che porta il suo nome, ma anche le Lamentazioni.

Figlio di un sacerdote che abitava nella città di Anatoth, Geremia iniziò il suo ministero circa cent’anni dopo Isaia.
Per la comprensione dei libri profetici biblici è utile leggere i libri storici da 1 Samuele a 2 Cronache, perché sono quelli che raccontano lo stesso periodo di tempo nel quale i profeti vissero e operarono. Mentre Geremia predicava a Gerusalemme, Ezechiele, più giovane di lui, predicava a Babilonia tra i deportati e contemporaneamente il nobile Daniele fu profeta alla corte di Nabucodonosor.
Anche Abdia, Naum, Abacuc, Sofonia, che troviamo tra i profeti dell’Antico Testamento, furono contemporanei di Geremia.

Diamo qualche accenno sulla situazione storica di quel periodo: il profeta Isaia aveva profetizzato durante il periodo in cui l’Assiria imponeva la sua egemonia nella regione. Isaia morì presumibilmente mentre in Giuda regnava il malvagio Manasse e sotto questo regno nacque Geremia. Intanto, i tempi erano cambiati, il regno del Nord era caduto e i suoi abitanti erano stati deportati dagli Assiri. L’Assiria in quel momento si trovava in pieno declino, Babilonia e l’Egitto lottavano per sostituirla come potenza dominante.
Quando Geremia profetizzava ormai da oltre vent'anni, Babilonia abbatté la potenza dell’Assiria e due anni dopo sconfisse l’Egitto (607 a. C.), dominando l'area per 70 anni, periodo che corrisponde alla durata della deportazione dei Giudei in Babilonia.
Geremia predisse tutte queste situazioni alcuni anni prima che si verificassero, ma vide anche in prospettiva futura l’avvento del Messia, preannunciandolo insieme agli altri profeti dell’Antico Testamento.
Non sappiamo nulla sulla sua fine. Una tradizione narra che il profeta morì lapidato, in Egitto, dai suoi connazionali che ancora una volta si rifiutavano di ascoltarlo.

Il messaggio di Geremia era rivolto ovviamente alla vita nazionale di quel periodo storico, tuttavia esso ha un valore importante anche per noi oggi. La parola ricorrente nel messaggio di Geremia è “infedeltà”, che compare ben 13 volte nel testo. Geremia è la voce di Dio che denuncia la religiosità esteriore, l’adulterio, la menzogna, l’ipocrisia (7:9-10; 7:8; 9:5, 8), note caratteristiche della sua generazione che aveva estromesso Dio dalla propria vita.
Ma questi non sono forse i segni di degrado che caratterizzano anche la nostra società?

Vedendo che il suo messaggio veniva rifiutato dalla maggioranza, il profeta comprese che il piano della grazia di Dio si rivolgeva ai singoli individui che erano pronti ad ammettere la propria condizione di peccato.
Geremia predicò che il cuore può essere trasformato per essere fedeli a Dio.
In questi cuori il Signore avrebbe scritto il nuovo patto della sua grazia (31:31-34; 50:5). Questo nuovo patto, che è diventato chiaro soltanto secoli dopo, è il patto che Gesù sigillò con il suo sangue sulla croce.

Se vuoi sapere di più su Geremia, leggi il breve approfondimento Geremia: profeta storico e spirituale

 

24 geremia

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23 isaia

Il nome Isaia deriva dall’ebraico e vuol dire “Jahvè salva”.
Isaia nacque verso il 770 a. C., probabilmente a Gerusalemme, città che conosceva molto bene. Si pensa appartenesse a una famiglia aristocratica, date le strette relazioni con la corte di Giuda. Era sposato con una profetessa e padre di almeno due figli.
Profetizzò per circa 60 anni. Fu chiamato a diventare profeta «nell’anno della morte del re Uzzia» (6:1) e cioè intorno al 740 a. C.
Suo contemporaneo fu il profeta Michea, mentre prima di lui operarono Amos e Osea, che profetizzarono soprattutto per le tribù del Nord, mentre Isaia e Michea diressero le loro profezie in modo particolare verso Giuda e la sua capitale, Gerusalemme.
Non conosciamo l’anno preciso della sua morte, ma probabilmente, dato che scrisse una biografia del re Ezechia (2 Cronache 32:32), Isaia morì durante il regno del successore Manasse.

Il nome di Isaia viene citato nel Nuovo Testamento più di qualsiasi altro profeta.
Le sue parole preferite sono: salvare, liberare, aiutare. Tutti verbi che hanno la stessa radice del suo nome.

In tutto lo scritto si nota un susseguirsi di metafore, immagini e paragoni.
Proprio una di queste immagini si presta a riassumere, in qualche modo, il contenuto del libro.
Il profeta paragona il popolo ad una vigna che il Signore aveva piantato e curato con amore, ma che, arrivato il tempo della vendemmia, aveva prodotto uva selvatica. Dio si aspettava rettitudine, invece il popolo viveva nell’ingiustizia. Al capitolo 6, Isaia riceve la gloriosa visione della santità di Dio e da quel momento sarà incaricato da Dio di annunciare i Suoi giudizi sul popolo. Essi sarebbero stati conquistati e deportati. Tuttavia, nella sua grazia, Dio avrebbe fatto in modo che i sopravvissuti (6:13) tornassero nella propria terra. Con un anticipo di circa 150 anni, Isaia preannuncia l'avvento dell’imperatore Ciro e l’editto da lui promulgato, con il quale avrebbe disposto il ritorno in patria degli Ebrei e la ricostruzione del tempio.

A rendere ancora più sorprendente questo testo è soprattutto la profezia riguardante la venuta del Messia, Gesù. Come quella di Ciro, la profezia riguardante il Messia si è avverata con esattezza, ma è ancora più ricca di particolari. Al capitolo 53, con una precisione sconcertante viene descritta la sofferenza che Cristo avrebbe sopportato fino alla croce. Avvenimenti annunciati con 700 anni di anticipo ( ti suggeriamo di leggere questo approfondimento a propisto di Isaia e le profezie riguardanti Gesù)

 

23 isaia

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Il libro di cui ci occuperemo ora è un testo che ci costringe a riflettere. Il suo autore pone domande senza far seguire una risposta immediata, interrogandosi sul significato della vita, sulla felicità.

Il termine “Ecclesiaste” deriva dal titolo utilizzato dalla versione greca dell'Antico Testamento, detta dei Settanta, e traduce l’ebraico “Qoelet”, che vuol dire “insegnante” o “predicatore”. Si tratta di un vero e proprio sermone, nel quale lo scrittore riflette sulla vita, chiedendosi se l’uomo tragga un reale profitto da tutta la sua fatica (1:3).
L’Ecclesiaste pare riflettere l’esperienza di Salomone che scrive in età ormai avanzata. Il suo nome non viene citato, ma le allusioni alla sapienza, ai piaceri, alle costruzioni, alle ricchezze, alle donne sembrerebbero riferirsi a lui: è netta l'impressione che egli voglia come tracciare un bilancio della sua vita e, al tempo stesso, esprimere una valutazione della vita in generale.
Si tratta, come si è detto, di un sermone scritto, sul tema «Tutto è vanità».

Per lo scrittore, l’espressione «vanità» designa ciò che è inutile, che non ha valore nel tempo, che sfocia in una sensazione di insoddisfazione.
In un mondo dove tutto passa e nulla riesce a soddisfare veramente, l’autore si propone di rispondere al seguente interrogativo: qual è il senso della vita?
Il melanconico ritornello «Vanità delle vanità, tutto è vanità», non è la sua sentenza sulla vita in generale, ma solo sull’errato atteggiamento dell’uomo che considera il mondo come fine a se stesso e fa dei piaceri lo scopo unico della sua vita.

L’Ecclesiaste intende eliminare prima di tutto le false speranze che dominano nella mente degli uomini e condurli a riflettere su ciò che veramente vale.
La risposta alla domanda «Che cosa c'è di buono da compiere per l’uomo in un mondo dove tutto è vanità?» viene riassunta con: mangiare, bere, godere, eseguendo con impegno tutto quello che le tue mani trovano da fare e sopra ogni cosa temendo Dio, tenendo gli occhi fissi sul giorno del giudizio finale. L'autore non aveva dubbi circa l’esistenza di Dio e della sua giustizia. Dio viene menzionato almeno 40 volte in questo libro, e il predicatore è certo del giudizio divino (3:17, 11:9, 12:14).
Allora notiamo che, dietro la disperazione dell’Ecclesiaste, traspare incessantemente la presenza del Creatore al quale tutti dovranno rendere conto (3:11,17).
L’ idea assillante della morte come fine di tutte le cose può essere allontanata solo dal pensiero di Dio, dell’eternità e della retribuzione finale di tutte le azioni commesse su questa terra.
Nel profondo della sua anima, in realtà, l’uomo nutre un profondo desiderio delle cose eterne.
A conclusione del suo discorso, l'autore assicura che temere Dio e osservare i suoi comandamenti per l’uomo è tutto. Si legge infatti al capitolo 12, versetti 15-16:


«Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo.” Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male.»


L'Ecclesiaste non dice «ascoltate», ma: «ascoltiamo», perché egli stesso vuole ascoltare da Dio ciò che predica agli altri.

Sull'Ecclesiaste, J. Packer scrive nel suo libro «Conoscere Dio»: «Considerate - dice l’Ecclesiaste - il tipo di mondo in cui viviamo … osservate la trama della vita, stabilita da cicli della natura ricorrenti e senza scopo (1:4 ss.). Vedete il suo schema fissato dai tempi e dalle circostanze, su cui non avete alcun potere (3:1; 9:11 ss.). Vedete ... arrivare la morte per tutti … senza relazione alcuna con una ricompensa o una punizione (7:15; 8:8). Gli uomini muoiono come bestie (3:19 s.) sia i buoni che i malvagi, sia i saggi che gli stolti (2:14, 17; 9:2 s.). Vedete il male che imperversa (3:16; 4:1; 5:8; 8:11; 9:3), i mascalzoni che vanno avanti, mentre gli onesti no (8:14). Considerando tutto questo, vi rendete conto che la disposizione degli eventi da parte di Dio è imperscrutabile, vi sforzate di capire, ma non ci riuscite (3:11, 7:13 s.; 8:17; 11:15) … Che cos'è dunque la vera sapienza? Temi Dio e osserva i suoi comandamenti (12:15), confida in Lui e ubbidisci, abbi timore di Lui, adoralo, sii umile davanti a Lui; quando preghi, non dire mai più di quel che ti proponi e vuoi mantenere (5:1-7), fa' il bene (3:12), ricordati che un giorno Dio ti chiederà conto, (11:9; 12:14), perciò evita, anche in segreto, quelle cose di cui potresti vergognarti quando saranno messe in luce al tribunale di Dio (12:14). Vivi nel presente e godilo intensamente (7:14; 9:7 s., 11:9 s.); i piaceri attuali rappresentano i buoni doni di Dio ... Ricerca la grazia di poter lavorare intensamente a qualunque cosa la vita ti chiami a fare (2:24, 3.12 s.; 5:18 s. 8:15). Lascia i frutti nelle mani di Dio; che sia Lui a misurare il valore ultimo, la tua parte sta nell'adoperare tutto il buon senso e l'inventiva di cui disponi per sfruttare le occasioni che ti si presentano (11:1-6).»

 

21 ecclesiaste

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20 proverbi

Questo testo è stato definito una delle migliori guide che un giovane possa seguire.
È composto da 31 capitoli, se ne può dunque leggere uno per ogni giorno del mese.
Mentre i Salmi ci guidano alla preghiera e all’adorazione, i Proverbi ci orientano nella condotta quotidiana.
Questo libro è diviso in cinque parti: le prime due portano il titolo di «Proverbi di Salomone» (1-9; 10-24). La terza parte è indicata col titolo «Proverbi di Salomone trascritti dagli uomini di Ezechia» (25-29). La quarta parte è intitotolata «Parole di Agur» (30) e la quinta «Parole di Lemuel» (31).
Dunque, Salomone è l’autore principale di questa opera.
Il re Salomone ereditò da Davide, suo padre, un regno popoloso ed esteso. Riconoscendosi incapace di assumersi una tale responsabilità, pregò il Signore (1 Re 3:7-9), facendo una richiesta particolare:

«Da' al tuo servo un cuore intelligente».

 
La richiesta di Salomone trovò favore davanti a Dio, che la esaudì oltre ogni aspettativa: oltre alla saggezza che desiderava, il Signore gli diede ricchezza e potenza.
La cultura di Salomone era tale che era ritenuto un prodigio, e molti re affrontavano lunghi viaggi per ascoltarlo di persona.
Purtroppo, negli ultimi anni della sua vita si allontanò dai buoni insegnamenti che Dio gli aveva dato e con cui aveva governato il suo popolo.
Nel primo libro dei Re, al capitolo 11, troviamo il racconto della triste fine della sua vita.

Torniamo al nostro testo. La parola ebraica "mashal", usata qui per proverbio, viene da un verbo che significa “governare” o “avere dominio”, è interessante notare la forza e l'influenza che i proverbi hanno sugli uomini.
Che cos’è un proverbio? È un detto saggio condensato in poche parole.
Una forma così breve ha dei vantaggi: rende veloce la memorizzazione e si può facilmente ricordare.

Il contenuto dell’opera è riassunto nei primi sei versetti, dove viene indicato anche lo scopo, cioè promuovere la saggezza, l’istruzione, la comprensione, la rettitudine, la conoscenza, il sapere.
Punto di partenza è il timore di Dio. Segue un piccolo poema didattico, dove, in forma di discorso, un padre si rivolge al figlio; è un’esortazione ad ascoltare l’istruzione dei genitori e ad evitare cattive compagnie.
I primi nove capitoli sono diretti a incoraggiare lo studio e la pratica delle leggi della sapienza e a prendere le distanze da tutte quelle cose che impediscono di fare il bene.
Gli argomenti trattati nel resto del libro sono i più disparati.

Ogni proverbio è indipendente dall’altro, cioè tra i diversi proverbi non esiste alcun legame, essi possono però essere raggruppati per argomenti; noteremo così che la parte più importante è quella che riguarda gli insegnamenti morali.
Si parla di sapienza e follia, di ricchezza e povertà, del laborioso, del pigro e dell’ubriacone. Si argomenta sui genitori e figli, sui giovani, sulla donna corrotta e quella virtuosa, sul matrimonio.
Altri argomenti sono la maldicenza, l’umiltà, le liti, l’amicizia, il governo, la salute del corpo e dell’anima. Alla base di tutto ciò c’è il timore del Signore, fonte della vera sapienza.
È evidente il valore pratico di questi insegnamenti che interessano la vita nel suo insieme.

L’attualità dei proverbi è sorprendente. Molti uomini e donne ne hanno tratto profitto, applicandoli alla vita quotidiana con l’intento di vivere secondo i consigli di Dio.

 

20 proverbi

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19 salmi

L’Antico Testamento è pieno di poesia e di cantici: condottieri come Mosè, Debora e Barak celebrarono le loro vittorie con dei canti, persone comuni come Anna, la mamma di Samuele, e molti profeti della storia d’Israele misero in risalto con un cantico le loro esperienze più importanti. Non ci deve sorprendere che una fede come quella ebraica abbia ispirato una raccolta di Salmi.

Il titolo ebraico per questo libro è “Tehillim”, che significa “canti di lode”. La traduzione greca “Psalmoi”, da cui deriva il nostro “Salmi”, significa letteralmente “canti da accompagnarsi con strumenti a corda”, e le indicazioni che lasciano trasparire che dovessero essere cantati con accompagnamento sono molteplici. Tutti questi canti sono stati scritti in un arco di tempo di circa nove secoli, dall'epoca di Mosè al ritorno dell'esilio babilonese.

Questi “canti” furono composti da diversi autori.
Il nome di Davide ricorre in 73 titoli, quello di Asaf in 12, dei discendenti di Core (probabilmente musicisti esecutori appartenenti a questa famiglia) contiamo 11 composizioni. Troviamo poi altri nomi come Mosè, Salomone, Eman ed Etan.
Molti salmi sono anonimi, anche se c’è chi ritiene che alcuni di questi siano stati scritti dal re Davide.

Possiamo poi suddivedere i Salmi in salmi messianici, cioè che si riferiscono alla futura venuta del Messia e la preannunciano, salmi storici, salmi di preghiera, nei quali si trovano inviti a confessare i peccati e chiedere perdono a Dio o dove predomina l'adorazione.
I salmi che vanno dal 120 al 134 possono essere definiti come salmi di pellegrinaggio, che si ritiene fossero composti per essere cantati lungo la strada verso Gerusalemme, durante le principali feste annuali.
Ci sono poi 7 salmi detti alfabetici (25, 34, 37, 111, 112, 119, 145): si tratta di quei salmi che, nell’originale, cominciavano con la prima lettera dell’alfabeto ebraico e in cui ciascuna strofa cominciava con una successiva lettera dell’alfabeto. È come se in italiano al primo verso mettessimo una parola con la lettera a, al secondo verso una parola con la lettera b, al terzo una parola con la c, e così via. Questa forma letteraria aiutava la memorizzazione del testo.

È impossibile fare un breve riassunto del libro perché ogni salmo ha una storia a sé stante. Possiamo però sottolineare alcuni aspetti.
Prima di tutto, in gran parte dei Salmi l'attenzione è focalizzata su Dio e sul suo carattere: i Salmi sono un concentrato di teologia di profondità immensa. Essi infatti affermano che Dio è il Creatore (8:104), colui che ha il controllo su tutto in quanto Sovrano (29; 96-99). La rettitudine del suo governo (11; 75) si manifesta con la sua grandezza e benevolenza (146). La bontà di Dio (34) è inseparabile dalla sua santità (103), di cui l’altra faccia è rappresentata dalla sua ira (38); Dio è il pastore che si cura delle sue pecore (23)...  tutti questi temi saranno ripresi poi nel Nuovo Testamento da Gesù in persona prima e dai suoi discepoli poi.
In secondo luogo, alcuni salmi sono vere e proprie profezie sulla venuta di Gesù. Citiamo il 118 che contiene una predizione molto dettagliata della sofferenza di Cristo sul Calvario. Ce ne sono 18 che possono essere considerati come “salmi messianici”, perché parlano in modo particolare delle sofferenze del Messia, il Salvatore, e della sua gloria dopo la croce. Ecco l'elenco completo: 2, 8, 16, 22, 23, 24, 40, 41, 45, 68, 69, 72, 87, 89, 97, 102, 110, 118.
Queste frequenti allusioni sono importanti da rilevare perché mostrano come anche il libro dei Salmi annunci la venuta del Messia, il vero unto di Dio, Gesù Cristo.

 

19 salmi

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18 giobbe

Giobbe potrebbe essere il più antico di tutti gli scritti biblici. Non possiamo affermare con certezza che l’autore di questo libro sia lo stesso Giobbe; la tradizione ebraica lo attribuisce a Mosè, ma anche Salomone viene preso in considerazione come autore (o traduttore), per via delle affinità linguistiche con i libri da lui scritti. In realtà, tali affinità posso essere spiegate con il fatto che, trattandosi di un libro molto antico, esso sia divenuto un modello linguistico e letterario per l'intera letteratura successiva.

Il prologo e l’epilogo del libro sono in prosa. La parte principale, suddivisa in tre cicli di dialoghi, è scritta invece in forma poetica.

Il tema del libro è la sofferenza, ed in particolare la domanda sul perché Dio permetta le sofferenze del giusto.

La storia è ambientata nel “paese di Uz”, che dovrebbe collocarsi nei dintorni del territorio di Edom, cioè nella parte meridionale dell’attuale Giordania.All’inizio del libro, Giobbe è molto ricco: possiede tanto bestiame, molti servi ed ha anche una famiglia numerosa.Satana riceve da Dio il permesso di provare la sua fede, così, in un primo momento gli toglie tutti i beni, poi lo priva dei suoi figli. Non essendo ancora riuscito ad incrinare la fede di Giobbe, Satana chiede ed ottiene in seguito l’autorizzazione a colpire anche il suo corpo.

Degli amici vengono a consolarlo, ma le loro argomentazioni circa le motivazioni delle prove di Giobbe aggravano le sue sofferenze, tanto che egli li definisce “consolatori molesti” (16:2). Inizia così una discussione tra Giobbe e i suoi tre amici che si basano sull’idea che la sofferenza è sempre e necessariamente conseguenza del peccato. Giobbe non afferma mai di essere un uomo perfetto, ma rifiuta con decisione il loro giudizio e non riesce a capire l’apparente durezza di Dio nei suoi confronti.

Eliu, un quarto amico fino ad allora rimasto silenzioso, propone di dibattere la questione partendo da una base differente. Invece di considerare le sofferenze degli uomini unicamente come castigo del peccato, Eliu ritiene che esse fortifichino e purifichino l'uomo. Non sono quindi espressione della collera di un Dio implacabile, ma una correzione inflitta amorevolmente. La tesi di Eliu fa di lui un messaggero del Signore; egli prepara l’intervento divino ed apporta un argomento che Giobbe può prendere in considerazione e addirittura accettare (capitoli 32-37).

Infine, Dio prende la parola e mostra a Giobbe che la conoscenza umana è troppo limitata per spiegare in maniera soddisfacente il mistero dei propositi divini. Giobbe e i suoi amici avevano dimenticato che Dio è il Vasaio e noi non siamo altro che creta nelle Sue mani. Per questo Dio li riprende. Giobbe riconosce subito il suo peccato umiliandosi davanti al Signore (38:1-42:6).

La fede di Giobbe trionfa su tutte le prove ed egli finisce con il recuperare la sua antica prosperità ed anche di più.

Tutti i personaggi umani del dramma parlano senza sapere nulla delle insinuazioni di Satana contro la fede di Giobbe, di cui si narra nel prologo, e del fatto che Dio gli avesse dato il permesso di provare con i fatti le sue accuse. Alla luce del prologo, le sofferenze di Giobbe appaiono non come il risultato di una condanna divina contro di lui, come i suoi amici avevano cercato di sostenere, ma come prova della fiducia di Dio in lui, che durante tutta la narrazione non vacillerà mai, anzi, continuerà a chiamare Dio il suo Redentore. Ti invitiamo a leggere a proposito l'approfondimento Giobbe e il suo Redentore.

Il libro di Giobbe costituisce un eloquente esempio del fatto che la mente umana è incapace di comprendere appieno la complessità del problema della sofferenza. Ma nel considerare il problema del male, non dobbiamo mai mettere in dubbio la bontà di Dio, per non sviluppare degli atteggiamenti sbagliati nei confronti della sua sapienza e del suo amore per noi.

 

 18 giobbe

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Chi non ha mai sentito la vecchia storia che la Bibbia è piena di errori e contraddizioni? In effetti è stata ripetuta così tante volte che molti di noi pensano che questo sia vero senza preoccuparsi di verificarlo. Dopotutto, non è possibile che così tanti siano nell’errore, vero?

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