Al centro del cristianesimo biblico c’è la verità che noi non siamo perdonati da Dio perché abbiamo compiuto buone opere, ma, al contrario, le compiamo perché il perdono che Dio ci offre ci dà la motivazione e lo zelo per esse. Le buone opere sono il frutto della nostra salvezza e non il motivo.

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Focalizziamo la nostra attenzione sul versetto 7 del capitolo 1 della Lettera agli Efesini:

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Situata nella valle del fiume Lico, nell’odierna Turchia, Colosse era una piccola città, meno importante delle vicine Laodicea e Ierapoli. In tutti e tre questi centri si erano costituite delle chiese cristiane (4:13). Paolo aveva attraversato la regione già due volte, nel secondo e nel terzo viaggio missionario (Atti degli Apostoli 16:6, 18:23). Con molta probabilità, la chiesa fu il risultato dell’opera di Paolo a Efeso, distante circa 160 chilometri da Colosse. L’effetto della predicazione di Paolo a Efeso fu di notevole e vasta portata, possiamo dunque immaginare che qualche cittadino di Colosse, avendo udito il Vangelo a Efeso e accettato la fede in Cristo, avesse in seguito fondato una chiesa nella sua città di origine.

La lettera ai Colossesi è stata scritta con tutta probabilità durante la carcerazione romana di Paolo, intorno al 62 d.C.

Epafra, credente e responsabile della chiesa, aveva raggiunto Paolo (1:7-8) per parlargli della situazione che si era creata a Colosse. Diversi riferimenti ci fanno capire che alcuni stavano cercando di persuadere i Colossesi a seguire insegnamenti fuorvianti. Paolo scrive alla chiesa per correggere questi insegnamenti e riportare i credenti a focalizzare sulla persona di Cristo.

I primi capitoli sono dedicati all’esposizione della dottrina cristiana, in cui Cristo è il perno attorno al quale ruota tutto il discorso. Gesù ha il primato in ogni cosa (1:18). La sua preminenza è dovuta al fatto che egli è l’immagine di Dio (1:15) e la pienezza di Dio (1:19). Gesù è il Creatore (1:16) ed è il capo della chiesa (1:18). La sua opera è stata completa: può liberare dal potere delle tenebre (1:13) e può redimerci dal peccato (1:14). Tutte le cose sono riconciliate con Dio mediante il sangue della croce (1:20ss.) e sempre attraverso la croce, le potenze spirituali sono state disarmate (2:15). Cristo inoltre è la vita del credente (3:4).

Qualcuno ha riassunto la lettera ai Colossesi con una parola: pienezza. Infatti Gesù Cristo è pienamente Dio (2:9, 1:15), pienamente glorioso nella sua ricchezza (1:27), pienamente Signore sulla chiesa (1:18, 2:6) e pienamente trionfante sulle potenze del male (2:15). In lui si trovano tutta la pienezza di Dio (1:19) e tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (2:3). In lui il Padre ha riconciliato con sé tutte le cose (1:20). Gesù Cristo ha compiuto in modo definitivo e pieno l’opera di salvezza (1:14, 2:13-14). Egli è prima di ogni cosa , sopra ogni cosa, è capo della chiesa, principio della realtà, primogenito di ogni vita (1:15-20). “Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui” (1:17), dunque tutta la realtà è comprensibile alla luce di Cristo.

Nei capitoli seguenti, Paolo rivolge la sua attenzione a questioni di ordine pratico; gli insegnamenti devono avere degli effetti concreti per la vita e le relazioni umane. L’apostolo afferma che una dottrina sana si esprime in una vita santa. Il cristiano è “risorto con Cristo”, vive per Cristo e deve, dunque, manifestare la vita di Cristo in ogni situazione della sua esistenza. Non c’è rottura tra la dottrina e il comportamento, semmai il comportamento è determinato dagli insegnamenti ricevuti. Se la persona e l’opera di Cristo si distingue per la sua pienezza, così è della vita cristiana che Paolo descrive in questa lettera. Essa nasce dall’annuncio della totalità della Parola di Dio (1:25), deve essere ricolma della conoscenza della volontà di Dio (1:9) deve abbondare nel ringraziamento (2:7). Insomma, per dirla come Paolo: “voi avete tutto pienamente in Lui” (2:10). I cristiani sono persone che camminano verso la completezza (4:12). Non sono perfetti, ma sono ricolmi della pienezza di Cristo.

Lo gnosticismo tendeva a separare nettamente lo spirito dal corpo; nell'autentico insegnamento cristiano, invece, tutto l’essere vive la vita nella pienezza di Cristo, non ci sono aspetti della vita in cui Cristo deve essere ritenuto un estraneo. I sentimenti, la famiglia, il lavoro, la chiesa, la politica, il tempo libero, i doveri e quant’altro sono sottomessi alla signoria di Cristo e vissuti pienamente. Questa è la vita del vero cristiano.

Soffermiamoci ora su alcuni brani della Lettera ai Colossesi. Al capitolo 1 Cristo è esaltato in quanto Signore della creazione (1:15-17) e non solo, anche autore della riconciliazione. Ecco le parole di Paolo:

«E voi, che un tempo eravate estranei e nemici a causa dei vostri pensieri e delle vostre opere malvagie,
ora Dio vi ha riconciliati nel corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte, per farvi comparire davanti a sé santi, senza difetto e irreprensibili”» 
(1:21-22).

Paolo dice che le nostre opere sono malvagie e ci rendono nemici di Dio. Solo attraverso la morte di Cristo possiamo essere riconciliati. Poi al capitolo 2, versetti 13 e 14, usa un’immagine per chiarire come la morte di Cristo realizza la riconciliazione:

«Voi, che eravate morti nei peccati … voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati;
egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l'ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce.»

Il senso del discorso dell'apostolo Paolo è che non possiamo essere salvati per mezzo delle nostre buone azioni, perché le nostre “buone” azioni sono imperfette. Per usare le parole di un profeta dell’Antico Testamento, agli occhi di Dio sono un “abito sporco” (Isaia 64:6).

Non è così che Dio ci salva. La salvezza non consiste nel far pareggiare i conti delle nostre azioni, non è un calcolo da ragioniere dove le buone opere rappresentano le entrate e le cattive opere rappresentano le uscite. Se il metodo è la valutazione delle nostre azioni, non c’è speranza: chiuderemo sempre in passivo. La speranza però c’è, ed è in Cristo.

Paolo dice che tutte le nostre cattive azioni devono essere cancellate dal documento dove si trovano scritte. La cancellazione è avvenuta quando il documento su cui erano elencate le nostre azioni fu “inchiodato alla croce”. In che modo fu “inchiodata” quella lista che ci condannava? Non fu un foglio di carta ad essere inchiodato alla croce, ma Cristo. Fu così che Egli è diventato il documento di condanna che conteneva le mie azioni cattive. È stato Lui a subire la mia condanna. Ed è stato Lui a donarmi la salvezza. Ecco perché Cristo è l’unica via per riconciliarci con Dio.

 

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Sembra essere una necessità più che consolidata in quasi tutte le religioni: per arrivare a Dio bisogna fare qualcosa, recitare qualcosa, compiere dei rituali. Questa convinzione è anche radicata nel cristianesimo ma leggendo con attenzione la Bibbia troviamo che questa idea è contrastata con forza.

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Il Vangelo di Luca ha delle caratteristiche particolari che lo differenziano in modo sostanziale dagli altri tre scritti che raccontano la vita di Gesù.
Come possiamo leggere dalle prime righe, Luca scrive con l'intenzione di fornire una narrazione ordinata che dimostri la dondatezza dei fatti raccontati. Luca scrive con l'attitudine dello storico e riporta in maniera lineare tanti dettagli che gli altri autori dei Vangeli tralasciano. Il suo obiettivo chiaro sin dall'inizio è il presentare in maniera quasi pragmatica l'unica persona che può salvare l'umanità, ovvero Gesù, il Figlio di Dio.

Interessante notare che scrive a un certo Teofilo, al quale indirizzerà anche lo scritto degli Atti. Teofilo è un nome greco che si potrebbe tradurre con "amico di Dio", oppure " colui che ama Dio": per estensione possiamo dire che gli scritti di Luca sono diretti a tutti coloro che cercano Dio e vogliono entrare in relazione con Lui.

Luca, medico di professione ed evangelista per chiamata, fu amico e compagno di viaggio dell’apostolo Paolo. Come uomo di scienza, però non nega il miracolo, anzi si inchina davanti all’onnipotenza del Signore e ci presenta il mistero del concepimento sovrannaturale di Gesù in Maria, per opera dello Spirito Santo. Il suo Vangelo è proprio quello che riporta il maggior numero di guarigioni operate dal divino Medico.

.Consideriamo adesso il contenuto di questo Vangelo.

Il Vangelo di Luca è ricco di dettagli che non troviamo negli altri Vangeli: solo per ricordarne alcuni, vi troviamo le circostanze del concepimento e della nascita di Giovanni il Battista e del Messia Gesù, nonché della fanciullezza di Gesù (capitoli 1-2), l’episodio della peccatrice pentita che precede la parabola dei due debitori (7:36-50), la parabola del buon samaritano (10:25-37), quella del ricco stolto (12:13-21), del gran convito (14:15-24), di colui che, perduto, viene ritrovato (15:1-32), del fattore infedele (16:1-17), del giudice iniquo (18:1-8), del fariseo e del pubblicano che vanno al tempio a pregare (18:9-14). Citiamo infine il colloquio avvenuto sulla via di Emmaus (24:13-35) e il racconto dell’ascensione (24:50-53). Vi invitiamo a leggere una breve riflessione sulla parabola del Figlio prodigo.

Possiamo notare diversi temi ricorrenti in tutto lo scritto:
a) un’enfasi sulla salvezza, l’universalità del Vangelo e il suo carattere di grazia;
b) l’interesse di Gesù per le persone, specialmente per quelle emarginate dalla società; a ciò corrisponde la sua autentica umanità e la sua vita di preghiera;
c) l’importanza data al costo del discepolato. Di qui il bisogno di considerare bene le implicazioni pratiche, prima ancora di accettare la chiamata di Cristo;
d) l’insistenza sulla necessità che le Scritture si compissero attraverso il ministero e l’opera salvifica di Cristo (4:16-21; 24:44);
e) l'enfasi sul tema della gioia oper gli eventi legati alla venuta di Cristo;
f) e per concludere, tutto ciò è inquadrato non solo nel contesto della storia della salvezza, ma anche nella storia umana (2:1-7; 3:1-2; 13:1; 23:1-25). Ripetiamo che Luca si proponeva di scrivere con la disciplina dello storico;

La lettura di Luca è appasionante e di abbastanza semplice comprensione: una volta terminato questo Vangelo è sicuramente ottimo continuare con la lettura degli Atti degli Apostoli e scoprire come la morte di Gesù non abbia segnato la fine della predicazione del messaggio della salvezza, ma soltanto l'inizio.

 

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La narrazione che l'evangelista Marco fa vi sorprenderà sin dalle prime righe: vi calerà come in un film nella vita di Gesù cominciando dalla predicazione di Giovanni Battista al fiume e dal battesimo di Gesù stesso. Scritto sostanzialmente per i pagani e per coloro che non conoscevano usi e costumi del popolo ebraico, il testo è ricchissimo di commenti su luoghi, costumi e vocaboli, spiegazioni sui significati delle parole e le usanze ebraiche, e questo fatto rende le immagini ancora più concrete e tangibili davanti agli occhi del lettore. Inoltre l'autore insiste più sulle azioni di Gesù che sui suoi insegnamenti: anche se sono ricorrenti parole come “insegnare” e “predicare”, Marco riporta solo quattro parabole (al cap. 4), mentre racconta ben diciotto miracoli.

Tutto il Vangelo sembra tendere verso la passione di Cristo. Già al capitolo 2, notiamo l’inizio dell’opposizione da parte dei religiosi e dei politici. Al capitolo 3, verso 6 leggiamo:

«I farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per farlo morire.»

L’impressione che riceviamo, quando leggiamo Marco, è che egli ci racconti la storia di un uomo dinamico, sempre in movimento: Gesù ammaestra i discepoli e, nel frattempo, compie miracoli e dibatte con i religiosi mettendoli in seria difficoltà.

Una lettura attenta di questo Vangelo ci colpisce perché presenta un uomo che non nasconde la sua consapevolezza di essere una persona divina, mostra un’autorità assoluta in quello che dice e in quello che fa, ricevendo conferma dalla voce del Padre, proveniente dal cielo, in occasione del suo battesimo e della trasfigurazione. Gesù viene presentato come il servo di Dio, e l'autore esprime il concetto citando le parole del Signore:

«Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»
(Marco 10:45).

Presenta un uomo che va diritto verso la condanna e la crocifissione, come se Egli stesso controllasse tutti gli eventi: è sorprendente notare come Gesù, per ben quattro volte, predica la sua morte e la sua resurrezione e come i discepoli non siano in grado di capire che quello che stava dicendo si sarebbe avverato di lì a poco. Gesù era più di un semplice uomo: Gesù era il Figlio di Dio venuto sulla terra per salvare l'umanità.

Vogliamo dire qualcosa di più sull'autore di questo vangelo. Chi era Marco?
Per ben otto volte, il Nuovo Testamento menziona un certo Giovanni, detto anche Marco (Atti degli Apostoli 12:25), la cui madre si chiamava Maria. Nella sua casa di Gerusalemme si riuniva la chiesa a pregare, come apprendiamo dal libro degli Atti degli Apostoli (12:12). Marco fu strettamente legato a tre figure di rilievo nel Nuovo Testamento: Barnaba, Paolo e Pietro.
Era cugino di Barnaba, come possiamo apprendere dalla Lettera ai Colossesi (l4:10). Di Barnaba sappiamo che era un ricco ebreo cipriota che, dopo la sua conversione, si distinse per aver donato agli apostoli tutto il ricavato della vendita di un campo (Atti 4:37).Barnaba fu uno dei primi missionari che il libro degli Atti presenta e Giovanni Marco collaborò a stretto contatto con lui nella sua opera missionaria.
La seconda figura di rilievo vicina a Marco fu l’apostolo Paolo. In un primo momento, Marco accompagnò Paolo e Barnaba nel loro primo viaggio missionario (Atti 13:5), e molti anni più tardi lo troviamo a fianco di Paolo come suo collaboratore (Colossesi 4:10, 2 Timoteo 4:11).
Con l’apostolo Pietro, Marco ebbe un forte legame e si può ipotizzare che il testo del Vangelo di Marco sia stata una stesura dei racconti di Pietro stesso.

 

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Il Vangelo che scrisse Matteo, ha il carattere della narrazione ordinata. Partendo dalla genealogia di Gesù, ordinata secondo la linea di discendenza di Giuseppe, passa al racconto dell'annuncio della nascita del Cristo a Giuseppe.
Colpisce sin dall'inizio la grande quantità di riferimenti all'Antico Testamento:
Gesù è presentato come Messia (termine di origine ebraica che in greco si traduce Cristo), Re e Redentore. Per ben 18 volte Matteo esprime il fatto che Gesù stava adempiendo la Scrittura, un elemento che indica che l’autore scrivesse per dei lettori ebrei. Gli Ebrei del primo secolo aspettavano il Messia, come ancora oggi tanti Ebrei lo aspettano. Matteo ha dimostrato ai suoi connazionali che Gesù era colui che doveva venire: il Figlio di Davide, il Re promesso.

Nei primi tre capitoli, l'evangelista cerca di delineare la figura di Gesù, la sua provenienza e la sua nascita. Importante è anche la figura di Giovanni Battista, messaggero e precursore del Messia che anticipa di poco Gesù, preannunciandolo.

Nei capitoli 5-7, troviamo quella che è stata definita come la più grande predicazione del più grande predicatore di tutti i tempi: il sermone sul monte di Gesù. Nella prima parte, vengono elencate le cosiddette beatitudini, cioè quelle condizioni e caratteristiche che presentano le persone a cui appartiene il regno dei cieli. Nella seconda parte, Gesù spiega come interpretare correttamente la legge di Dio, come mettere in pratica i Suoi comandamenti per piacergli. Nella terza parte, invece, insegna come pregare (ed è qui che troviamo la meravigliosa preghiera conosciuta come il "Padre Nostro"), digiunare, perdonare e fare l'elemosina con atteggiamento di umiltà. L'ultima parte è incentrata sui comportamenti e le caratteristiche dei discepoli di Cristo: generosità, purezza, serenità e così via.

Gesù focalizza l'attenzione su ciò che conta veramente, dicendo che, se cerchiamo prima il regno di Dio e la sua giustizia, tutto quello che ci serve per vivere ci sarà dato in più (Matteo 6:33).

Nei capitoli 8 e 9, la sua autorità e autorevolezza non si manifestano più solo con le parole, ma anche con le azioni. Questi capitoli comprendono una selezione di racconti incentrati su miracoli compiuti da Gesù, che mettono in evidenza la sua autorità sulla malattia, sugli elementi della natura e sulle potenze spirituali. La folla che assiste non può fare a meno di esclamare: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!».

Il capitolo 13 è dedicato alle parabole del Regno dei cieli, seguono poi altri racconti della vita di Gesù.

Il Vangelo prosegue con l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Egli entra in città come un Re, cavalcando un asinello, acclamato dalla folla, mentre i capi religiosi, mossi dall’invidia, complottano per farlo morire.

Il 24 e il 25 sono due capitoli profetici, che descrivono i segni che precedono il ritorno di Cristo e del suo regno glorioso sulla terra. Poi, gli ultimi capitoli, dal 26 al 28, sono dedicati alla passione e alla terribile morte di Gesù su una croce romana, prima della sua gloriosa resurrezione.

Di Matteo, detto anche Levi, sappiamo ben poco. Il suo nome viene riportato nei quattro elenchi dei dodici apostoli e, dai Vangeli, sappiamo che era un cosiddetto "pubblicano” (pubblicani erano definiti coloro che svolgevano la funzione di esattori delle tasse per conto di Roma, i quali solitamente commettevano abusi ed erano quindi disprezzati dalla popolazione). Vista la sua professione è verosimile che abbia preso appunti durante i viaggi al seguito di Gesù. Si pensa che egli abbia scritto i suoi appunti in ebraico, pubblicando un’edizione in greco intorno al 60 d. C. Non si prende in considerazione una data posteriore al 70 d. C., perché Matteo non fa nessun riferimento alla distruzione del tempio a Gerusalemme per opera dei Romani, avvenuta proprio in quell'anno.

 

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Come abbiamo già detto nella parte introduttiva all'Ecclesiaste, l'autore si guarda intorno e si interroga sul senso della vita, sembra come intuire che ci sia qualcosa di più oltre al correre tutti i giorni per cercare di raggiungere una felicità che sembra irraggiungibile.

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Diciamocelo chiaramente: chi non si è sentito un po' "Giobbe" nella vita? quante persone hanno attraversato momenti bui, in cui si perdono affetti, beni, e le situazioni sembrano praticamente senza speranza. Come se non bastasse, in situazioni così tragice può succedere che le persone che vorremmo vicine risultano essere per noi un ulteriore peso, piuttosto che un conforto.

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Il personaggio di Boaz si inserisce nel racconto biblico nel periodo dei Giudici, e troviamo il suo nome legato a quello di Rut, donna alla quale la Bibbia dedica un'intero libro.

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