32 giona 

 

Giona viene introdotto nella Bibbia come collaboratore di Geroboamo II (2 Re 14:23-29), che fu a lungo re d'Israele a Samaria (Regno del Nord).
Dio chiese a Giona di predicare ai pagani fuori dai confini di Israele, ed egli non fu il solo profeta a ricevere questo mandato, anche Naum e Abdia rivolsero le loro profezie agli stranieri. E prima di Giona altri due profeti avevano svolto parte del loro lavoro tra i popoli pagani: Elia a Sidone ed Eliseo in Siria.

Vediamo subito il quadro storico in cui si colloca la vicenda di Giona.
Sono passati molti anni dalla predicazione del profeta Elia e del suo successore Eliseo. Il regno del Nord si è allontanato sempre più da Dio dandosi all’idolatria e si può già vedere in anticipo il dramma dell’esilio.
Ma nell’ottavo secolo a.C. Dio, nella sua misericordia, concede un momento di tregua a Israele. Durante il regno di Geroboamo II, Giona profetizza un periodo di stabilità politica per le dieci tribù che costituiscono il regno del Nord (2Re 14:25). In questo stesso periodo, Ninive, capitale dell’Assiria, è al massimo della sua potenza e i suoi re nutrono mire espansionistiche sui territori di Israele e di Giuda. La prospettiva di essere conquistati dagli Assiri terrorizzava i popoli di quella regione. Leggiamo la descrizione di uno studioso che, con immagini forti, ci dà un quadro della grandezza e della crudeltà di questo popolo e dei suoi sovrani:
«Dal Caucaso e dal Mar Caspio fino al golfo Persico, e dall’altra parte del fiume Tigri fino all’Asia Minore e all’Egitto, questo popolo governava con orrenda tirannia e violenza. I re assiri erano un vero e proprio tormento per il resto del mondo: dilaniavano i corpi morti dei soldati; costruivano piramidi di teschi umani, offrivano in sacrificio i figli e le figlie dei loro nemici, bruciavano città, sterminavano intere popolazioni, riempiendo i deserti di sangue e i paesi di corpi straziati; impalavano corpi umani a migliaia, gettavano le ossa nei fiumi, tagliavano le mani dei re e le inchiodavano ai muri lasciando i loro corpi a marcire alla porte della città, in preda agli orsi e ai cani; falciavano i loro nemici come fossero grano e li abbattevano nelle foreste come bestie; ricoprivano intere colonne con la pelle strappata dai corpi dei monarchi rivali…e facevano tutto ciò senza alcun rimorso» (W. Graham Scroggie).
Ninive era la capitale di questo impero.
Proprio al culmine del potere assiro, Dio comandò al profeta Giona di andare a Ninive ed avvertire gli abitanti dell’imminente giudizio. Essere un profeta non era una cosa facile: occorreva una fede ben radicata in Dio e molto coraggio per poter predicare in situazioni difficili ad un uditorio ostile.

Giona era nativo di Gat-Efer, località a cinque chilometri da Nazaret.
Il suo nome significa “colomba”, e come tale egli era pronto ad annunciare la pace e la misericordia divina al suo popolo. Il profeta Giona ricevette un preciso ordine dal Signore: andare a Ninive, la capitale dell’Assiria e predicare contro la sua malvagità, offrendo ai Niniviti la possibilità di riconciliarsi con Dio. Ma Giona non voleva andare a Ninive, né gli sembrava giusto che a quei barbari Dio potesse far grazia nel caso in cui si fossero pentiti: così decise di fuggire, spingendosi verso i più lontani confini del mondo allora conosciuto.
Ma non si può sfuggire a Dio. Il Signore scatenò una tempesta impetuosa e, mentre invocavano l’aiuto dei loro dèi, i marinai tirarono a sorte per capire a causa di chi capitava quella disgrazia. La sorte cadde su Giona ed egli spiegò che era in fuga per non eseguire un ordine del suo Dio.
Egli stesso suggerì all'equipaggio della nave di buttarlo in mare, era convinto che in tal modo la tempesta si sarebbe placata. Dopo qualche esitazione, i marinai fecero come Giona aveva loro suggerito. La tempesta si placò e il profeta fu inghiottito da un grosso pesce, nel cui ventre egli rimase per tre giorni e tre notti (in merito ti invitiamo a leggere l'approfonditmento "Il pesce di Giona e la tomba di Cristo"). Pregò con fervore e Dio lo esaudì ordinando al pesce di vomitarlo su una spiaggia.
Dopo quegli avvenimenti, il Signore parlò ancora a Giona e questa volta il profeta ubbidì.
Ninive era così estesa che ci vollero tre giorni per percorrerla, e in quei tre giorni Giona predicò un forte messaggio che invitava gli abitanti ad avvicinarsi a Dio e a convertirsi. Colpiti dal messaggio, i Niniviti si pentirono dei loro peccati. Allora il Signore, nella sua misericordia, ebbe pietà di loro e decise di non punirli. Giona però ne fu irritato: non riteneva giusto che fosse concessa una opportunità di redenzione ad un popolo del genere, che comunque avrebbe continuato ad essere una minaccia per il popolo di Israele. La cosa più logica sarebbe stata che Dio li sterminasse e salvaguardasse il suo popolo. Eppure Dio ebbe compassione di quella popolazione, dimostrando a Giona che il suo amore è riservato a tutti gli uomini ed Egli ascolta chiunque si rivolga a lui con pentimento.

Una generazione di Niniviti conobbe e ricevette la bontà di Dio, benché meritasse di essere condannata. Ma le generazioni successive si dimenticarono di quella meravigliosa opportunità e tornarono a vivere nella crudeltà. Negli anni che seguirono, la potenza militare e politica dell’Assiria crebbe ulteriormente. La città di Ninive, dopo aver conosciuto la bontà divina, si preparava a sperimentare il terribile giudizio del Dio vivente, come si vedrà più avanti, nell'introduzione al libro del profeta Naum.

 

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