Come abbiamo già detto nell'introduzione, la Lettera agli Ebrei è un condensato di informazioni su Gesù e sul significato della sua venuta sulla terra.

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Gli abitanti della Galazia, una regione che si trova al centro dell’odierna Turchia, erano un ramo dei Galli, quel popolo stanziatosi in Francia ma proveniente dal bacino settentrionale del Mar Nero in seguito alla grande migrazione verso Ovest.
Un esercito di Galli, chiamati anche Galati, invase la regione centro-settentrionale della Turchia e vi si stabilì, dando alla nuova patria il nome di Galazia.

Presumibilmente, la data di stesura di questa lettera è il 57 d.C., al termine del terzo viaggio missionario di Paolo, mentre egli si trovava forse ad Efeso o in Macedonia.

Paolo aveva molto a cuore i Galati: si erano convertiti al cristianesimo attraverso la sua predicazione durante il suo secondo viaggio missionario e avevano accettato con gioia il vangelo, dimostrando un grande affetto verso di lui (Galati 4.13-15).
Dopo la partenza di Paolo, erano arrivati in Galazia alcuni Giudei, i quali insistevano che i Gentili (ovvero tutte le popolazioni che non avevano origini ebraiche) non potevano essere cristiani senza osservare la legge di Mosè. I Galati diedero ascolto al loro insegnamento, accettando anche la pratica della circoncisione. Paolo venne a conoscenza dell'accaduto, e scrisse questa lettera per spiegare loro che, mentre la circoncisione era necessaria per entrare a far parte del popolo ebraico, essa però non era stata richiesta da Dio ai cristiani di origine non ebraica per essere salvati e fare parte della chiesa.

Vediamo in breve il contenuto della lettera nei suoi passaggi più significativi.
Dopo un breve saluto, Paolo passa a spiegare allo scopo della sua lettera. Si meraviglia dell’improvviso abbandono del Vangelo e li riprende accoratamente.
Risalendo all’Antico Testamento e citando Abramo come esempio, Paolo mostra che per essere salvati non bisogna FARE, ma CREDERE per FEDE. Abramo fu salvato per via della sua fede, e questo molto prima che la legge fosse data al popolo tramite Mosè. La vera funzione della legge è di convincere l’uomo di essere un peccatore: nessuno è in grado di adempierla in ogni cosa. Solo Cristo, che era senza peccato, ci è riuscito. Gesù, unico uomo giusto sulla terra, condannato ingiustamente ad una morte atroce, adempiendo la legge ha reso possibile la riconciliazione fra Dio e l'uomo, separati a causa del peccato. Questa è la grazia di Dio, ovvero che, nonostante non ce lo meritassimo, grazie al sacrificio di Gesù sulla croce e alla sua vittoria sulla morte attraverso la risurrezione, possiamo avere pace con Dio ed essere adottati come suoi figli. Per essere graditi a Dio non serve nessun tipo di rituale, non ci viene richiesto. Tutto ciò che ci viene richiesto è di credere veramente in Gesù come nostro Salvatore, confessare a Dio il nostro peccato e ottenere il perdono da Lui grazie a Gesù, che è morto al posto nostro, scontando sulla croce la condanna per i nostri peccati.
A tutti quelli che prendono questa decisione, Dio dona lo Spirito Santo, che li guida e li aiuta a vivere una vita che piace a Lui. Lo Spirito, e non la legge, ci dona l’identità di Figli di Dio.

Paolo incoraggia i Galati a perseverare nella libertà cristiana perché la legge può essere adempiuta attraverso l’amore (5:13-14).
La figura di Cristo è centrale in tutta la lettera, caratterizzata da affermazioni forti che si imprimono nella mente e fanno riflettere.
In conclusione, di queste affermazioni ne vogliamo riportare una, che trovate spiegata nell'approfondimento In bilico fra rituali e fede:

«Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!»  
(Galati 2:20).

 

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Dei quattro Vangeli, quello di Giovanni è forse il più letto e il più citato.
Lo stile letterario è semplice, diretto, ma incredibilmente profondo. Mentre gli autori degli altri tre Vangeli narrano quello che Gesù fece, Giovanni decise di mettere per iscritto questa testimonianza quasi a voler completare l’opera dei precedenti Vangeli, fornendoci un quadro più completo della figura di Gesù e della sua natura divina.
Pertanto questo Vangelo non è un’esposizione biografica della vita di Cristo, ma una presentazione della sua opera a favore dell’umanità perduta, come possiamo leggere al capitolo 20, versetto 31:

«Ora Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri segni miracolosi, che non sono scritti in questo libro;
ma questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome.»

È evidente una stretta correlazione fra i miracoli operati da Gesù e le dichiarazioni che egli fa su se stesso, tutte precedute dall'espressione "Io Sono". Questa brevissima espressione per gli Ebrei dell'epoca significava moltissimo: Dio stesso si era presentato a Mosè dicendo "Io Sono colui che Sono", e il fatto che Gesù utilizzasse parte di questa frase per definire se stesso stava ad indicare che intenzionalmente stava definendosi come Dio.
qui sotto riportiamo alcune di queste dichiarazioni, e vi invitiamo a completare l'elenco leggendo voi stesi il Vangelo e trovando i putni in cui Gesù definisce se stesso: ogni volta c'è qualcosa di profondissimo da apprendere sulla Sua figura e sulla Sua divinità.

  • al capitolo 4, parlando alla donna samaritana, Gesù si definisce per la prima volta IO SONO, in risposta a lei che cita il Messia. In questo caso non stava semplicemente confermando di essere il Messia, ma di essere contemporaneamente Dio.
  • al capitolo 6 troviamo la moltiplicazione dei pani e dei pesci,  e subito dopo si autodefinisce come “pane della vita disceso dal cielo”, cioè colui il quale può saziare la fame spirituale di ogni uomo
  • sempre al capitolo 6 troviamo Gesù che cammina sulle acque: Egli è colui che governa le leggi del creato perchè Egli stesse le ha stabilite.
  • al capitolo 8 dice "Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita", subito dopo aver salvato la donna adultera da una lapidazione certa
  • al capitolo 9 ribadisce "io sono la luce del mondo" dopo aver guarito un uomo nato cieco
  • nel capitolo 11 l’amico Lazzaro, morto da tre giorni, viene restituito alla vita. Gesù dice: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà.»

Gesù non solo ha dimostrato di poter richiamare in vita coloro che erano morti: con la sua resurrezione ha dimostrato di aver sconfitto la morte, e che il suo essere Dio non sarebbe potuto mai venire meno (al capitolo 20).
La resurrezione sta alla base del cristianesimo, è l’elemento su cui poggia tutto il messaggio cristiano. Durante il lungo discorso che Gesù tiene dopo la moltiplicazione dei pani (al capitolo 6), per ben tre volte leggiamo: «... e io lo risusciterò nell’ultimo giorno», espressione che indica che, per coloro che credono, la resurrezione di Cristo è garanzia che anch'essi risusciteranno.
Gesù continua ad operare a favore dei suoi discepoli e, proprio perché è risuscitato, coloro che gli appartengono possono confidare nella sua presenza e nel suo soccorso.

Circa metà dell’intera opera è dedicata alla settimana precedente la crocifissione di Gesù e ai discorsi più intimi che egli fece ai suoi discepoli. Fu durante questi discorsi che il Maestro promise loro il dono dello Spirito Santo, il quale avrebbe ricordato e aiutato a capire i suoi insegnamenti. Prima di essere arrestato, Gesù rivolse al Padre una magnifica preghiera per i credenti di tutti i tempi, ed è grazie a Giovanni che conserviamo queste preziose parole.

Per dare qualche coordinata sull'autore, possiamo dire che Giovanni era fratello di Giacomo, anche lui uno dei dodici apostoli. Insieme al padre, gestiva un’impresa di pesca a Capernaum, presso il lago di Galilea.
Giovanni era stato discepolo di Giovanni il Battista e quando quest'ultimo presentò Gesù come l’agnello di Dio, Giovanni divenne discepolo del nuovo maestro, uno dei primi cinque discepoli insieme a Pietro, Andrea, Filippo e Natanaele. In seguito, Gesù invitò Giovanni e suo fratello Giacomo a lasciare il loro mestiere per seguirlo e, da quel momento, egli divenne testimone oculare di quanto scritto nel suo Vangelo.
Dopo la resurrezione, Giovanni intraprese una grande opera di evangelizzazione insieme a Pietro e, durante le persecuzioni che ne seguirono, rimase a Gerusalemme come colonna della chiesa. Secondo la tradizione, egli visse ad Efeso fino a tarda età, prendendosi cura delle chiese dell’Asia Minore.

Il versetto forse più citato dell'intera Bibbia è Giovanni 3:16:

«Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.»


Questo versetto è considerato il cuore della Bibbia, il testo che contiene il suo messaggio principale, il versetto che riassume l’intero insegnamento della Sacra Scrittura.

Questo è un messaggio cruciale che Dio ci rivolge. Tutti siamo compresi in questo progetto di salvezza, dobbiamo solo afferrarla credendo in Gesù, Figlio di Dio e nostro Salvatore!

 

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Giobbe potrebbe essere il più antico di tutti gli scritti biblici. Non possiamo affermare con certezza che l’autore di questo libro sia lo stesso Giobbe; la tradizione ebraica lo attribuisce a Mosè, ma anche Salomone viene preso in considerazione come autore (o traduttore), per via delle affinità linguistiche con i libri da lui scritti. In realtà, tali affinità posso essere spiegate con il fatto che, trattandosi di un libro molto antico, esso sia divenuto un modello linguistico e letterario per l'intera letteratura successiva.

Il prologo e l’epilogo del libro sono in prosa. La parte principale, suddivisa in tre cicli di dialoghi, è scritta invece in forma poetica.

Il tema del libro è la sofferenza, ed in particolare la domanda sul perché Dio permetta le sofferenze del giusto.

La storia è ambientata nel “paese di Uz”, che dovrebbe collocarsi nei dintorni del territorio di Edom, cioè nella parte meridionale dell’attuale Giordania.All’inizio del libro, Giobbe è molto ricco: possiede tanto bestiame, molti servi ed ha anche una famiglia numerosa.Satana riceve da Dio il permesso di provare la sua fede, così, in un primo momento gli toglie tutti i beni, poi lo priva dei suoi figli. Non essendo ancora riuscito ad incrinare la fede di Giobbe, Satana chiede ed ottiene in seguito l’autorizzazione a colpire anche il suo corpo.

Degli amici vengono a consolarlo, ma le loro argomentazioni circa le motivazioni delle prove di Giobbe aggravano le sue sofferenze, tanto che egli li definisce “consolatori molesti” (16:2). Inizia così una discussione tra Giobbe e i suoi tre amici che si basano sull’idea che la sofferenza è sempre e necessariamente conseguenza del peccato. Giobbe non afferma mai di essere un uomo perfetto, ma rifiuta con decisione il loro giudizio e non riesce a capire l’apparente durezza di Dio nei suoi confronti.

Eliu, un quarto amico fino ad allora rimasto silenzioso, propone di dibattere la questione partendo da una base differente. Invece di considerare le sofferenze degli uomini unicamente come castigo del peccato, Eliu ritiene che esse fortifichino e purifichino l'uomo. Non sono quindi espressione della collera di un Dio implacabile, ma una correzione inflitta amorevolmente. La tesi di Eliu fa di lui un messaggero del Signore; egli prepara l’intervento divino ed apporta un argomento che Giobbe può prendere in considerazione e addirittura accettare (capitoli 32-37).

Infine, Dio prende la parola e mostra a Giobbe che la conoscenza umana è troppo limitata per spiegare in maniera soddisfacente il mistero dei propositi divini. Giobbe e i suoi amici avevano dimenticato che Dio è il Vasaio e noi non siamo altro che creta nelle Sue mani. Per questo Dio li riprende. Giobbe riconosce subito il suo peccato umiliandosi davanti al Signore (38:1-42:6).

La fede di Giobbe trionfa su tutte le prove ed egli finisce con il recuperare la sua antica prosperità ed anche di più.

Tutti i personaggi umani del dramma parlano senza sapere nulla delle insinuazioni di Satana contro la fede di Giobbe, di cui si narra nel prologo, e del fatto che Dio gli avesse dato il permesso di provare con i fatti le sue accuse. Alla luce del prologo, le sofferenze di Giobbe appaiono non come il risultato di una condanna divina contro di lui, come i suoi amici avevano cercato di sostenere, ma come prova della fiducia di Dio in lui, che durante tutta la narrazione non vacillerà mai, anzi, continuerà a chiamare Dio il suo Redentore. Ti invitiamo a leggere a proposito l'approfondimento Giobbe e il suo Redentore.

Il libro di Giobbe costituisce un eloquente esempio del fatto che la mente umana è incapace di comprendere appieno la complessità del problema della sofferenza. Ma nel considerare il problema del male, non dobbiamo mai mettere in dubbio la bontà di Dio, per non sviluppare degli atteggiamenti sbagliati nei confronti della sua sapienza e del suo amore per noi.

 

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“Pasqua” viene dal termine ebraico pèsach, che significa “passare oltre”. Stiamo parlando di quella decisiva e fatale notte in Egitto, durante la quale la piaga finale, la morte dei primogeniti, stava per abbattersi sul popolo.

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La Genesi è ricchissima di eventi e racconti che hanno dell'incredibile agli occhi del lettore. In questo breve articolo vogliamo considerare due eventi particolari analizzandoli brevemente: la creazione e il diluvio universale.

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