Giobbe

18 giobbe

Giobbe potrebbe essere il più antico di tutti gli scritti biblici. Non possiamo affermare con certezza che l’autore di questo libro sia lo stesso Giobbe; la tradizione ebraica lo attribuisce a Mosè, ma anche Salomone viene preso in considerazione come autore (o traduttore), per via delle affinità linguistiche con i libri da lui scritti. In realtà, tali affinità posso essere spiegate con il fatto che, trattandosi di un libro molto antico, esso sia divenuto un modello linguistico e letterario per l'intera letteratura successiva.

Il prologo e l’epilogo del libro sono in prosa. La parte principale, suddivisa in tre cicli di dialoghi, è scritta invece in forma poetica.

Il tema del libro è la sofferenza, ed in particolare la domanda sul perché Dio permetta le sofferenze del giusto.

La storia è ambientata nel “paese di Uz”, che dovrebbe collocarsi nei dintorni del territorio di Edom, cioè nella parte meridionale dell’attuale Giordania.All’inizio del libro, Giobbe è molto ricco: possiede tanto bestiame, molti servi ed ha anche una famiglia numerosa.Satana riceve da Dio il permesso di provare la sua fede, così, in un primo momento gli toglie tutti i beni, poi lo priva dei suoi figli. Non essendo ancora riuscito ad incrinare la fede di Giobbe, Satana chiede ed ottiene in seguito l’autorizzazione a colpire anche il suo corpo.

Degli amici vengono a consolarlo, ma le loro argomentazioni circa le motivazioni delle prove di Giobbe aggravano le sue sofferenze, tanto che egli li definisce “consolatori molesti” (16:2). Inizia così una discussione tra Giobbe e i suoi tre amici che si basano sull’idea che la sofferenza è sempre e necessariamente conseguenza del peccato. Giobbe non afferma mai di essere un uomo perfetto, ma rifiuta con decisione il loro giudizio e non riesce a capire l’apparente durezza di Dio nei suoi confronti.

Eliu, un quarto amico fino ad allora rimasto silenzioso, propone di dibattere la questione partendo da una base differente. Invece di considerare le sofferenze degli uomini unicamente come castigo del peccato, Eliu ritiene che esse fortifichino e purifichino l'uomo. Non sono quindi espressione della collera di un Dio implacabile, ma una correzione inflitta amorevolmente. La tesi di Eliu fa di lui un messaggero del Signore; egli prepara l’intervento divino ed apporta un argomento che Giobbe può prendere in considerazione e addirittura accettare (capitoli 32-37).

Infine, Dio prende la parola e mostra a Giobbe che la conoscenza umana è troppo limitata per spiegare in maniera soddisfacente il mistero dei propositi divini. Giobbe e i suoi amici avevano dimenticato che Dio è il Vasaio e noi non siamo altro che creta nelle Sue mani. Per questo Dio li riprende. Giobbe riconosce subito il suo peccato umiliandosi davanti al Signore (38:1-42:6).

La fede di Giobbe trionfa su tutte le prove ed egli finisce con il recuperare la sua antica prosperità ed anche di più.

Tutti i personaggi umani del dramma parlano senza sapere nulla delle insinuazioni di Satana contro la fede di Giobbe, di cui si narra nel prologo, e del fatto che Dio gli avesse dato il permesso di provare con i fatti le sue accuse. Alla luce del prologo, le sofferenze di Giobbe appaiono non come il risultato di una condanna divina contro di lui, come i suoi amici avevano cercato di sostenere, ma come prova della fiducia di Dio in lui, che durante tutta la narrazione non vacillerà mai, anzi, continuerà a chiamare Dio il suo Redentore. Ti invitiamo a leggere a proposito l'approfondimento Giobbe e il suo Redentore.

Il libro di Giobbe costituisce un eloquente esempio del fatto che la mente umana è incapace di comprendere appieno la complessità del problema della sofferenza. Ma nel considerare il problema del male, non dobbiamo mai mettere in dubbio la bontà di Dio, per non sviluppare degli atteggiamenti sbagliati nei confronti della sua sapienza e del suo amore per noi.

 

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