17 ester

Gli eventi narrati nel libro di Ester si collocano cronologicamente tra il libro di Esdra e quello di Neemia.

L’autore del libro è sconosciuto, così come la data di stesura, anche se possiamo desumere che sia stata scritta dopo il 465 a.C. (anno di morte del re Assuero, identificato con Serse I, monarca persiano di cui si parla nel racconto). Lo scrittore era un buon conoscitore dei costumi di corte e della situazione storica del V secolo, dunque oltre ad aver vissuto in Persia, deve essere stato un testimone oculare di quanto racconta. Ciro, il fondatore dell’impero persiano, ben noto per il suo atteggiamento generoso nei confronti dei popoli conquistati, dopo aver conquistato Babilonia nel 539 a.C, permise agli Ebrei di ritornare a Gerusalemme.

La storia racconta di Aman, potente principe alla corte del re Assuero, e del suo malvagio proposito di distruggere tutti gli Ebrei viventi sul territorio persiano, per vendicarsi di Mardocheo, un ebreo che aveva rifiutato di prostrarsi al suo passaggio.

In una tale crisi, era necessario un intervento provvidenziale, che arrivò per mezzo di Ester, una giovane ebrea scelta dal re quale regina e che era nipote di Mardocheo, il quale l'aveva adottata come figlia e cresciuta sotto la sua tutela. Benché Dio non venga mai nominato direttamente, l'intero libro è completamente permeato della sua divina provvidenza.

Il re Assuero, dopo aver bevuto abbondantemente in uno dei suoi banchetti, ordinò che la regina Vasti si presentasse agli ospiti per mostrare la sua bellezza. La regina rifiutò l’invito scatenando l’ira del re che, su consiglio dei cortigiani, ne ordinò la deposizione. Per sostituirla fece cercare nel suo regno una giovane di grande bellezza e, tra le ragazze selezionate, fu scelta Ester.

La scelta arrivò proprio in un momento critico per gli Ebrei, quello del complotto di Aman.

Usando come pretesto le leggi e le usanze particolari degli Ebrei, Aman aveva ottenuto di pubblicare, a nome del re Assuero, un decreto che autorizzava l’uccisione di tutti gli Ebrei e il saccheggio dei loro beni in una data ben precisa.

Mardocheo, allora, sollecitò Ester a intervenire in favore del suo popolo.

In precedenza, egli aveva sventato una congiura ai danni del re. I due cospiratori, dopo le opportune indagini e verifiche dei fatti, erano stati giustiziati, l’episodio registrato, ma l’azione di Mardocheo era poi finita nel dimenticatoio.

Nella notte decisiva della storia raccontata nel libro di Ester, il re, che non riusciva a prendere sonno, ordinò che gli si leggesse il libro delle Memorie. In tal modo, venne a sapere che il servizio resogli da Mardocheo non era mai stato ricompensato. Il re allora dispose che egli ricevesse una ricompensa pubblica e, per suo ordine, Mardocheo attraversò le vie della città vestito con abiti regali, sul cavallo del re e preceduto dalla persona più importante della corte: Aman.

Mediante una serie di imprevedibili circostanze, alla fine, Aman fu vittima del suo stesso complotto. Ester comunicò al re il piano malvagio del suo dignitario e, siccome non era possibile abrogare l’editto con il quale si ordinava la distruzione degli Ebrei, la regina ottenne che essi potessero difendersi dall’attacco dei loro nemici.

Il popolo ebraico fu salvo e Mardocheo ricevette la più alta carica dello stato dopo il re, al posto di Aman. Tale miracoloso capovolgimento di una situazione disperata fu celebrato in tutto l’impero persiano, ed è ancora oggi ricordato ogni anno dagli Ebrei in ogni parte del mondo, con una festa chiamata Purim.

Non sappiamo come e quando morì la regina Ester, ma è certo che le circostanze della sua vita contribuirono alla sopravvivenza del suo popolo.

Con il libro di Ester si conclude la parte storica dell’Antico Testamento.

 

17 ester

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“Sono stata educata a credere in Dio.. ma frequentando le scuole superiori ho iniziato a farmi domande su quello che mi avevano insegnato in chiesa. Ho comunicato i miei dubbi al prete senza ricevere tuttavia risposte in grado di soddisfarmi. Mi disse soltanto che dovevo avere fede e che era sbagliato e peccato da parte mia avere dei dubbi. Così ho represso le mie domande per molti anni...

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16 neemia

Questo testo appartiene al gruppo dei libri storici dell'Antico Testamento e costituisce il proseguimento del libro di Esdra.
I libri di Esdra e Neemia sono strettamente collegati: mentre il primo racconta soprattutto la ricostruzione del tempio in seguito all’editto di Ciro, il secondo riporta la storia della ricostruzione delle mura di Gerusalemme, conformemente al decreto di Artaserse, re di Persia. Le parole chiave del libro sono “riedificazione” e “preghiera”. L'intero libro è ricchissimo di preghiere: ogni momento per Neemia era buono per elevare una preghiera a Dio ed è un ottimo esempio di come la fede ci porti a confidare totalmente e costantemente nell'aiuto divino in ogni circostanza.

Si pensa che l’autore sia lo stesso Neemia, infatti la narrazione si svolge in prima persona ed è ricca di annotazioni personali, memorie e preghiere che mettono a nudo il pensiero e i sentimenti dell’autore.
La redazione del testo può essere collocata intorno alla seconda metà del V secolo a.C.

Il contesto storico nel quale Neemia si trovò ad operare era abbastanza particolare: dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 597 a.C., parecchie migliaia di Israeliti erano stati deportati a Babilonia e in altre città della Mesopotamia. L’impero babilonese crollò definitivamente, ad opera dei Persiani, nel 539 a.C. Il re persiano Ciro si dimostrò indulgente verso i popoli sottomessi e gli Ebrei, che con il precedente regime erano stati costretti a lasciare la propria terra, poterono tornare in patria.
Zorobabele, discendente del re Davide, guidò il primo gruppo di Ebrei a Gerusalemme e diede inizio alla costruzione del tempio.
Circa sessant'anni dopo la costruzione del tempio, per ordine del re Artaserse, un secondo gruppo tornò sotto la guida di Esdra, uno scriba esperto nelle Sacre Scritture. L’incarico affidato a Esdra era di trasportare a Gerusalemme gli utensili per il servizio nel tempio e informarsi sulle condizioni di vita degli Ebrei già rientrati nel paese all’epoca di Zorobabele.
Dodici anni dopo la spedizione di Esdra, Neemia ricevette il permesso da Artaserse di recarsi a Gerusalemme per ricostruirne le mura.
Nel lungo periodo che intercorse tra il primo e il secondo rimpatrio, una giovane ebrea, Ester, divenne regina di Persia, perché fu scelta come moglie dal re Assuero, più conosciuto come Serse.
È probabile che Ester fosse ancora viva ed influente a palazzo, quando sia Esdra che Neemia si recarono a Gerusalemme.
In qualche modo, la presenza di una regina ebrea alla corte di Persia, portò un contributo per sensibilizzare il regno persiano alla causa di Israele.


Neemia era coppiere del re Artaserse, una mansione di fiducia che gli permetteva di stare quotidianamente alla presenza del sovrano, verificando che il vino che gli veniva servito non fosse avvelenato.
Un giorno, il re notò la tristezza sul volto di Neemia e gliene chiese la ragione. Dopo una silenziosa e breve preghiera rivolta al suo Dio, Neemia rispose che Gerusalemme, la città dei suoi antenati, era in rovina e che lui desiderava andare a ricostruirne le mura. Il re gli accordò il permesso, gli diede una scorta di cavalli, lettere di presentazione per i governatori dei vari distretti che doveva attraversare e lo nominò governatore della Giudea.
Investito da tale carica, una volta arrivato a Gerusalemme si diede subito da fare per l’opera di ricostruzione. I notabili ebrei s’impegnarono a costruire ognuno una parte delle mura.
Neemia venne accusato di ribellione contro il re di Persia, ma quelle false accuse crollarono presto.
Le mura vennero ultimate dopo 52 giorni, circa settant'anni dopo la costruzione del tempio. In seguito, un decimo della popolazione si trasferì in città per viverci e furono organizzati il governo ed i servizi del tempio.
Neemia si dedicò all’insegnamento delle Sacre Scritture e la sua opera fece sorgere un forte senso di pentimento tra il popolo, provocando un grande risveglio spirituale.
Al capitolo 9 leggiamo la confessione dei peccati che il popolo fece davanti a Dio, seguita dalla preghiera dei Leviti che metteva in risalto la grazia costante di Dio verso il suo popolo. A seguito di tutto ciò, il popolo rinnovò solennemente il patto con Dio.

Dopo aver governato Giuda per 12 anni, Neemia tornò in Persia. Ottenuto un nuovo permesso, ritornò a Gerusalemme per continuare la sua opera di ricostruzione. Questa volta si trattò più di una restaurazione di carattere morale, per insegnare al popolo ad abbandonare le infedeltà e ricominciare invece ad osservare la Parola di Dio. Infatti, durante la sua assenza, tra il primo e il secondo mandato come governatore, erano sorti dei forti disordini tra il popolo. Al suo ritorno Neemia punì i colpevoli e ristabilì il culto nel tempio di Gerusalemme.
Nulla sappiamo sulla fine dei suoi giorni, probabilmente ricoprì fino alla morte la carica di governatore della Giudea.

 

16 neemia

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15 esdra

Esdra era un discendente di Aaronne, e apparteneva quindi alla linea sacerdotale. Se a Gerusalemme ci fosse stato ancora un tempio, probabilmente Esdra vi avrebbe servito come sacerdote, ma il tempio era stato bruciato e distrutto e il popolo si trovava in esilio a Babilonia. Era uno scriba, cioè un esperto della legge di Mosè; non potendo svolgere il servizio di sacerdote, impiegava il suo tempo per studiare la Parola di Dio e, al momento del ritorno degli Ebrei dall'esilio babilonese, fu in grado di servirsi di quanto aveva imparato nei suoi studi. Fu un grande riformatore che riuscì a fortificare il popolo rivalutando l’importanza delle Sacre Scritture (vedi libro di Neemia, capitolo 8).

Aveva capito che quei rotoli, che qualche sacerdote aveva portato con sé durante l’esilio, contenevano parole di portata eterna, principi divini che spiegavano il vero senso della vita. Perciò si dedicò con tutto il cuore allo studio della Parola di Dio. Non fu sicuramente facile per lui, come non è facile per noi dedicarci allo studio in modo serio e diligente, ma ci mise tutto il suo cuore!
Non solo si dedicò allo studio, ma anche alla pratica di ciò che aveva compreso. Perché è la pratica che fa la differenza!
Esdra si spinse oltre, dedicandosi anche ad insegnare ad altri quello che aveva imparato. Capiva che era estremamente importante trasmettere le verità che ricavava dalle Scritture, alla nuova generazione, che, altrimenti, si sarebbe privata degli insegnamenti essenziali per una vita soddisfacente e per realizzare il progetto di Dio.
Il tema del libro di Esdra è infatti la Parola di Dio, le parole chiave si trovano in 9:4 e 10:3:

«tremavano alle parole del Dio d'Israele.»

La storia narrata non è altro che il compimento della profezia di Geremia: Dio, attraverso la voce del suo profeta, non solo aveva preannunciato che gli Ebrei sarebbero tornati dall’esilio, ma aveva detto anche che ciò sarebbe avvenuto dopo 70 anni (Geremia 25:11-12; 29:10).


Il libro di Esdra può essere suddiviso principalmente in due parti: il ritorno di circa cinquantamila prigionieri da Babilonia, guidati da Zorobabele, nei primi sei capitoli, e la storia di Esdra nei capitoli dal 7 al 10. Il re di Persia, Artaserse, riconosciuta la saggezza di Esdra (7:25), gli aveva affidato l’incarico di tornare a Gerusalemme con gli utensili per il servizio nel tempio e informarsi sulle condizioni di vita degli Ebrei già rientrati nel paese circa ottant'anni prima. Egli non chiese al re una scorta armata per difendere gli Israeliti dal nemico durante il viaggio (capitolo 8), perché la considerava una mancanza di fede verso Dio. Così, dopo aver pregato per la protezione durante il viaggio, Esdra e il gruppo degli esuli che lo seguiva si misero in cammino. Al suo arrivo a Gerusalemme, egli venne a sapere che il popolo aveva trasgredito la legge e molti avevano sposato donne pagane, lasciandosi trascinare nei loro riti. Esdra, allora, intervenne con molta energia: la sua commovente confessione davanti a Dio a nome del suo popolo, riportata al capitolo 9, suscitò il sincero pentimento nella comunità e si riuscì a ristabilire un certo ordine nel popolo.

 

15 esdra

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Nelle Cronache i fatti descritti nei libri di Samuele e dei Re vengono raccontati con maggiori dettagli e Dio, come ispiratore della Sacra Scrittura, enfatizza dei particolari che considera importanti.

Nei libri delle Cronache, la storia che va Da davide alla deportazione a Babilonia è vista sotto un nuovo punto di vista: nei libri dei Re, il centro era il palazzo reale, nelle Cronache, invece, il centro è il tempio. I libri dei Re riportano la storia politica della nazione, mentre quelli delle Cronache ne riportano la storia sotto un profilo più legato alla religione.
È probabile che le Cronache siano state scritte da Esdra, in quanto presentano una sorprendente somiglianza di stile e di linguaggio col libro che porta il suo stesso nome.

Nel primo libro delle Cronache troviamo lunghe tavole geneaoliche per i primi 9 capitoli, poi l'accento si sposta sulla storia di Davide e sul suo desiderio di realizzare il tempio.

I primi nove capitoli del secondo libro sono dedicati al regno di Salomone, alla cui morte salì al trono il figlio Roboamo. Fu la stupidità di Roboamo a causare la divisione del regno israelita, che si divise in regno del Nord (chiamato anche Israele e composto da dieci delle dodici tribù) e regno del Sud (chiamato anche Giuda e formato essenzialmente dalle due tribù di Giuda e Beniamino).
Dio mette l'enfasi sul regno di Giuda, perché da Davide, appartenente a questa tribù, possiamo tracciare l'intera linea genealogica che porta a Gesù Cristo.
In questa parte della storia nazionale, troviamo cinque periodi di “risveglio” della nazione, sui quali le Cronache si soffermano: come abbiamo già detto la storia è presentata focalizzando sull'aspetto religioso, e viene messo in risalto come Dio interviene con decisione sulla situazione del popolo.
Nabucodonosor diventa l'artefice del giudizio di Dio su Israele e la deportazione durerà 70 anni. Il secondo libro delle Cronache si chiude con un colpo di scena: un re persiano, Ciro, riconosce la sovranità di Dio, con un editto fa proclamare per tutto il regno che Dio stesso gli ha detto di ricostruirgli il tempio e mette in condizione coloro che appartenevano al regno di Israele e di Giuda di ritornare alle loro terre.

 

13 primocronache

 

14 secondocronache

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11 primore

Sebbene l'autore sia sconosciuto, sappiamo che i due libri dei Re sono stati scritti prima della distruzione del primo tempio. La tradizione attribuisce l'opera a Geremia, mentre alcune scuole moderne ai "profeti" in modo generico.

Il tema di questi due libri dei Re si trova nell'espressione che ricorre nove volte in 1 Re:

«Come Davide suo padre.»

In altre parole, noi stiamo seguendo la linea di discendenza reale di Davide, e ciascun re fu valutato sul modello da lui costituito. Quello di Davide era un modello umano e non sempre tanto elevato, eppure vediamo che molti re non riuscirono a raggiungerlo. Nonostante gli esempi positivi dati da alcuni sovrani, questa parte della Scrittura, nel complesso, descrive il declino e il fallimento del regno di Israele: infatti in 1 Re troviamo la storia della divisione del regno e in 2 Re quella del suo collasso.

1 e 2 Re sono, in realtà, la continuazione del racconto cominciato in 1 e 2 Samuele. Questi quattro libri possono essere considerati come un tutt'uno, in quanto tracciano la storia della nazione di Israele dal tempo della sua grande espansione, influenza e prosperità sotto Davide e Salomone fino alla divisione, alla cattività, all'esilio delle popolazione di entrambi i regni (regno del Nord, o regno di Israele, e regno del Sud, o regno di Giuda).

I libri dei Re mostrano la penetrazione dell'idolatria nel regno di Israele, ma anche come Dio non mancasse di far conoscere il suo volere al suo popolo. Con la forza di un ciclone, il profeta Elia arrivò improvvisamente sulla scena del regno di Acab e mise alla prova i profeti del dio pagano Baal: ottocento profeti invocavano il loro dio, ma non accadde niente. Quando Elia pregò Dio, invece, ecco che si manifestò un fuoco dal cielo che bruciò l'olocausto preparato sull'altare e completamente bagnato. Dio è ancora oggi pronto a rispondere a chi lo invoca.

Il secondo libro dei Re si apre con il rapimento in cielo di Elia da parte del Signore e l'investitura come profeta del suo discepolo Eliseo, che compì diverse opere potenti e parlò per conto del Signore. La sua storia si intreccia con quella di diverse persone, forse la più importante e significativa è quella di Naaman. Capitano dell'esercito siro, era un uomo valoroso ed onorato, che purtroppo aveva contratto la lebbra: tramite una sua serva ebrea venne a sapere dell'esistenza di Eliseo e lo mandò a chiamare. Convinto che il profeta si sarebbe presentato al suo cospetto, vide invece arrivare un servitore che gli recapitava questo messaggio: «Tuffati sette volte nel Giordano e sarai guarito.» Naaman dovette spogliarsi del suo orgoglio e fare il semplice gesto di ubbidire alla parola del profeta, e fu completamente guarito.

Poco dopo salì al trono il re Ioas, ricordato per il desiderio profondo di restaurare il tempio. Ma, nonostante spiritualmente il popolo si fosse risollevato durante il suo regno, tutto ciò fu solo transitorio e Israele ricominciò a decadere anche politicamente, tant'è che in breve tempo il popolo fu deportato in cattività. È una storia tragica: il popolo eletto, che doveva essere una luce per tutti i popoli, per un periodo di circa duecento anni sprofondò sempre più nell’infedeltà e nella degradazione morale finché cadde sotto il giudizio di Dio e fu deportato dai nemici assiro-babilonesi. Il regno del Nord fu distrutto, ma la sua esperienza non servì a quello del Sud, che finì con il commettere gli stessi errori.

Fra i re che si susseguirono, praticamente nessuno dimostrò timor di Dio. Una eccezione a quella escalation di malgoverno fu costituita da Giosia: durante i lavori di restauro del tempio, egli ritrovò i rotoli della legge e, leggendoli, si rese conto di quanto sia lui stesso che il popolo fossero mancanti davanti a Dio. Fu la lettura della Parola di Dio, che a quel tempo consisteva soltanto nel pentateuco, che produsse il ravvedimento. Ma, sebbene sotto il regno di Giosia sembrasse che la situazione potesse prendere una piega diversa, i re successivi si rivelarono pessimi e Dio arrivò a non tollerare più l'iniquità del popolo. Usò la nascente Babilonia per fare imprigionare e portare lontano una parte del popolo dalla terra che Lui stesso gli aveva assegnato, ma nonostante ciò, la rimanenza della popolazione non si pentì e indurì il suo cuore. A quel punto, Nabucodonosor rase al suolo la città di Gerusalemme, distrusse il tempio e lo saccheggiò.

 

11 primore

 

12 secondore

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09 samuele

Questi due libri prendono il nome da Samuele, ultimo giudice d’Israele, che visse attorno all’anno 1000 a.C. Fu lui che, come profeta di Dio, conferì l’unzione regale a Saul e, dopo di lui, a Davide. Samuele segna, dunque, il passaggio dalla fine del periodo dei giudici all'istituzione della monarchia.

La storia di Samuele si trova nel primo libro, di cui è considerato l’autore fino al capitolo 25; probabilmente furono i profeti Natan e Gad, che vissero all’epoca di Davide, a completare la stesura dell'opera.
Il racconto è affascinante, con tre personaggi principali: Samuele, Saul e Davide, le cui storie si intrecciano e si sovrappongono.
Le vicende raccontate all’inizio del primo libro di Samuele si riferiscono al tempo dei Giudici. Erano passati più di quattrocento anni dalla conquista di Canaan, e come si può leggere nel libro dei Giudici, il popolo si trovava in una condizione di degenerazione. La decadenza morale e spirituale del popolo era il riflesso del declino del sacerdozio.
Ai tempi del sacerdote Eli, la parola di Dio era “rara” come leggiamo in 3:1. Non c’erano uomini degni a cui Dio potesse affidare il suo messaggio, allora il Signore si rivolse a un bambino, il piccolo Samuele, che era pronto ad ascoltare. Dio si rivelò a lui e tutto Israele gli riconobbe questo privilegio (3:20-21).
In quel periodo buio della storia d’Israele, sotto la minaccia dei vicini Filistei, Samuele fu l’unico ad ascoltare e trasmettere il messaggio del Signore.
Al capitolo 8 troviamo l'inizio del racconto della nascita del regno d'Israele. L’avvento della monarchia segnò una nuova fase della storia di Israele, che sarebbe durata oltre quattro secoli.
Il popolo cominciò a chiedere un re, mentre Samuele cercava invano di far capire loro che, così, stavano respingendo Dio - ricordiamo che fino ad allora sul popolo di Israele vigeva la teocrazia, il regno di Dio-.  il Signore comunque, accettò la loro richiesta e il profeta fu incaricato di ungere un re.
Fu scelto Saul, della tribù di Beniamino, un uomo alto, di bell’aspetto ed umile, che iniziò brillantemente il suo regno ottenendo una vittoria sugli Ammoniti.
Purtroppo l’umiltà di Saul fu sopraffatta dal suo orgoglio: l’impazienza nell’attendere la guida divina e la disubbidienza danneggiarono il suo rapporto con Dio.
Al capitolo 16 leggiamo di come Samuele, per ordine di Dio, andò a cercare Davide e lo unse re.
Quella dell’unzione era un’usanza di carattere sacro in Israele e riguardava tre categorie di persone: i sacerdoti, i re e i profeti. Il gesto dell’unzione voleva dire che il destinatario doveva svolgere un servizio per Dio.
Davide era un semplice pastore, di bell’aspetto e molto coraggioso, amava la musica ed era fedele al suo Dio. Al capitolo 17, leggiamo come il suo coraggio e lo zelo per Dio si manifestarono pubblicamente con la vittoria riportata su Golia, un guerriero filisteo dallo statura gigantesca.
Al capitolo 18, vediamo come Davide diventò oggetto della gelosia e dell’odio di Saul e fu costretto a fuggire.
Nei capitoli successivi fino al 30, vengono raccontati gli anni di sofferenza e di privazioni in cui la sua fede fu messa a dura prova.
Durante il periodo in cui dovette fuggire e nascondersi, il timor di Dio non venne meno in Davide, che per ben due volte risparmiò la vita a Saul, sapendo che la vendetta per tutto quello che stava subendo non gli apparteneva.
Poi, però, la fede di Davide cominciò a vacillare ed egli si rifugiò presso i Filistei, rendendosi anche colpevole del massacro di vittime innocenti. In quel periodo, egli non agì giustamente e fece, a volte, delle scelte sicuramente poco opportune.
Nel capitolo 31 di 1 Samuele, i Filistei attaccarono l’esercito di Saul, causando anche la morte in battaglia del re e di suo figlio Gionatan. Davide ne fu profondamente addolorato, anche e soprattutto per la forte amicizia che lo legava a Gionatan.
Con questi avvenimenti si conclude il primo libro di Samuele.

Il regno di Davide costituisce l’argomento principale del secondo libro di Samuele.
Il primo libro raccontava di Davide perseguitato e fuggiasco; il secondo lo mostra come re di Giuda per sette anni (capitoli 1-4) e poi di tutto Israele, per trentatre anni.
Il Signore condusse il suo servo Davide di vittoria in vittoria (capitolo 5), pur continuando a correggerlo e ad ammaestrarlo (capitoli 6-10).
Nel capitolo 11, dopo tante vittorie arrivò una sconfitta, ma non si trattò di una sconfitta militare o politica, bensì di una sconfitta morale. Davide fu protagonista di una triste storia di adulterio, che cercò di nascondere organizzando addirittura un omicidio. Egli aveva però trascurato un particolare: Dio vede tutto. In Ebrei 4:13 leggiamo che

«tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto.»

Dio conosce ogni cosa e dobbiamo rendergliene conto. Davide confessò il suo errore e ritrovò la comunione perduta con il suo Dio (12:13, Salmo 32:51).
Però, le amare conseguenze, nella vita di Davide e nella sua famiglia, non avrebbero tardato ad arrivare: lacrime, lutto, omicidi e aperta ribellione avrebbero segnato le pagine della sua storia.
Davide fu costretto a fuggire da suo figlio Absalom, autore di un colpo di stato. In questi capitoli burrascosi, dal 15 al 20, leggiamo come Davide riconquistò a poco a poco il terreno perduto in Israele, ristabilendo l’unità della nazione.
I capitoli conclusivi sono tutti pervasi da un clima di trionfo: sono registrati atti eroici e gloriose vittorie ottenute grazie alla devozione di soldati fedeli. Infine, il capitolo 24 è dedicato ad un grave avvenimento alla fine del regno di Davide. Spinto dall’orgoglio, il re ordinò un censimento, contro l'esplicito volere di Dio: il castigo non si fece attendere e Dio lo mise alla prova, come, a suo tempo, aveva fatto con Abramo. C’è una stretta analogia tra i due racconti: sul monte Moriah, dove Abramo aveva offerto Isacco al Signore, Davide offrì un olocausto. Nello stesso luogo dove Dio aveva rinnovato ad Abramo le sue promesse, Davide ottenne la conferma del patto divino. E sempre in quello stesso luogo, suo figlio Salomone avrebbe costruito il Tempio (2 Cronache 3:1).
Alla fine di 2 Samuele, Davide è arrivato alla fine della sua corsa.
Gli ultimi giorni della sua vita saranno poi raccontati nei primi due capitoli del primo libro dei Re, mentre la sua opera sarà continuata da Salomone, che Dio eleverà a una gloria senza precedenti nella storia d’Israele.

 

09 primasamuele

 

10 secondasamuele

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07 giudici

Il libro dei Giudici è così chiamato per via di dodici uomini e una donna che servirono Dio come cosiddetti "giudici" di Israele. Fu scritto durante il periodo della monarchia e racconta le vicende comprese, appunto, fra la morte di Giosuè e l'avvento della monarchia stessa, nel periodo in cui visse il profeta Samuele. È possibile sia opera del profeta Samuele, ma in realtà non abbiamo certezze riguardo l'identità dell'autore.

La situazione in cui la nazione si trovava era la seguente: dopo la scomparsa di Giosuè, il popolo di Israele era rimasto privo di un potere centrale e la nuova nazione era costituita da una confederazione di dodici tribù indipendenti. L’unico legame fra le tribù era rappresentato da Dio, che governava direttamente il suo popolo. Dunque, la teocrazia era la forma di governo in Israele al tempo dei giudici. Purtroppo, il popolo dimostrò poca fedeltà al suo Dio, continuando a ricadere nell’idolatria, nell’anarchia e nella debolezza militare, incapace di resistere ai nemici che continuamente cercavano di sottometterlo.

I Giudici erano le guide spirituali in Israele e, dato che spesso ricoprivano anche la carica di capi militari, venivano designati come strumenti di liberazione. In tempo di pace, svolgevano la funzione giuridica, con il compito di far applicare il diritto divino. La funzione del giudice si distingueva da quella del re perché la carica non era ereditaria, il giudice non dominava su tutto Israele (spesso esercitava la sua funzione all’interno di una tribù) e non era legato ad una carriera, militare o sociale.
Ecco come si esprime in proposito l’autore del libro:

«Il SIGNORE allora fece sorgere dei giudici, che li liberavano dalle mani di quelli che li spogliavano.
Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a loro.
Abbandonarono ben presto la via percorsa dai loro padri, i quali avevano ubbidito ai comandamenti del SIGNORE; ma essi non fecero così»
           (Giudici 2:16-17).


IL LIBRO DEI GIUDICI IN BREVE

I primi due capitoli rappresentano una sezione introduttiva che contiene un sommario della conquista del paese e la spiegazione del motivo per cui alcune nazioni pagane erano rimaste nel paese.

I capitoli da 3 a 16, cioè la parte centrale del libro, registrano le oppressioni da parte dei popoli vicini e le relative liberazioni per mezzo di giudici. Durante quel periodo, Israele ebbe un giudice che non possiamo trascurare: è Sansone, il cui nome è conosciuto anche da chi non ha mai letto la Bibbia. Egli fu uno dei maggiori giudici, un uomo che aveva davanti una promettente carriera ed un brillante futuro, ma purtroppo non fece una buona riuscita. Solo alla fine, sacrificandosi, si riscattò e salvò il popolo dall'oppressione dei Filistei.

Oltre alla narrazione storica, all’interno del libro troviamo due testi poetici, al capitolo 5 e al capitolo 9.

Gli utlimi capitoli sono dedicati alle vite di due personaggi, Mica e il Levita e alle cruente scene della battaglia di Ghibea, in cui vediamo le tribù combattere l'una contro l'altra.

L’incredulità e il declino che si manifestarono durante quel periodo di transizione, costituiscono il fulcro della narrazione, unitamente alla pazienza infinita di Dio che, malgrado l’incompetenza totale e l’incredulità manifestate dal popolo, intervenne ripetutamente per soccorrerli.
Non dobbiamo pensare che il tempo dei giudici fosse caratterizzato costantemente dall'idolatria. In realtà, sui periodi in cui Israele si allontanava da Dio si incentra tutto il racconto, perché la Parola di Dio si sofferma sulle punizioni che il popolo subiva e sulle liberazioni che accompagnavano il suo ravvedimento. Al contrario, sui lunghi periodi durante i quali regnavano i giudici e il popolo seguiva il Signore, godendo, di conseguenza, la pace, si sorvola ed essi vengono descritti nello spazio di un versetto.
La ripetuta apostasia di Israele prepara il terreno ad un periodo di oppressione da parte dei Filistei, i quali erano probabilmente i peggiori nemici di Israele, che oppressero per circa quarant'anni.


Il versetto finale che conclude la sconvolgente storia del libro dei Giudici è quello ricorrente in tutto il libro:

«In quel tempo, non c'era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio.»

 

07 giudici

 

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In questa sezione vorremmo presentare un quadro molto sintetico degli avvenimenti narrati nella Bibbia.

Dio, dopo aver creato l’universo, creò l’uomo e lo mise nel giardino di Eden.
L’uomo peccò, disubbidendo al suo Creatore e decadendo dalla posizione che Egli gli aveva conferito, ma Dio preannunciò un piano di redenzione per il genere umano.
Egli chiamò Abramo dal paese dei Caldei e lo condusse nella terra di Canaan, era attraverso la sua discendenza che sarebbe arrivato il Salvatore.
I discendenti di Abramo emigrarono in Egitto, dove divennero così numerosi da formare una nazione.
Costretti alla schiavitù dagli Egiziani, furono liberati da Mosè e condotti di nuovo nella terra che era stata promessa ad Abramo, il paese di Canaan. Israele, il popolo disceso da Abramo, fu per secoli governato da una monarchia, i cui re di spicco furono Davide e Salomone.
All’epoca di Roboamo, figlio di Salomone, il regno andò incontro ad una divisione. La parte settentrionale, chiamata Israele o regno del Nord, durò ancora duecento anni, fino a quando la popolazione fu deportata dagli Assiri, intorno al 721 a.C. La parte meridionale, chiamata Giuda, venne deportata anch’essa dai Babilonesi tra il 597 e il 586 a.C.
Nel 536 a.C. cominciò un rimpatrio degli esuli e l’entità nazionale fu ricostituita.
Il periodo dell’Antico Testamento si chiude con questi avvenimenti e, per quattrocento anni, Dio non parlò più al suo popolo per mezzo dei profeti che avevano accompagnato Israele durante tutte le sue vicende.
Trascorso questo periodo di silenzio, comparve un profeta, Giovanni Battista. Egli preparava la via al Messia annunciato in tutto l’Antico Testamento. Il piano di Dio in favore dell’uomo trovava il suo compimento con la venuta di Gesù.
Il Messia Gesù morì per i peccati dell’uomo e, alla sua resurrezione, diede ordine ai suoi discepoli di annunciare a tutte le nazioni la storia della sua vita e della sua opera di salvezza.
Gli Apostoli diffusero la Buona Notizia in tutto il mondo allora conosciuto.

L’intera Bibbia è fondata su Gesù e sulla sua promessa di vita eterna per coloro che credono in Lui.
Il Messia è al centro della storia biblica e al centro della storia dell’umanità. L’Antico Testamento preannuncia la sua venuta, i profeti avevano proclamato la sua nascita miracolosa, la sua vita sulla terra, la sua morte espiatoria, la sua resurrezione corporale. il Nuovo Testamento ce ne descrive i dettagli, proiettandoci nel futuro del suo ritorno.


«Queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e affinché credendo abbiate vita nel suo nome» (Giovanni 20:31).


Dunque era necessario che tutto ciò fosse scritto, affinché potessimo leggere e conoscere le immutabili promesse di Dio.

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Il libro di Giosuè racconta della conquista del territorio di Canaan da parte degli Israeliti, di come essi si allontanassero da Dio e come Egli, quando veniva invocato, li liberasse puntualmente. Purtroppo queste liberazioni non erano durature a causa della continua ricaduta nel peccato da parte del popolo di Israele.
Dio aveva dato la terra agli Israeliti con un patto incondizionato. Ad Abramo aveva detto

«A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso perenne; e sarò il loro Dio»  (Genesi 17:8)

Ciò nonostante, il possesso della terra era condizionato: bisognava combattere per conquistarla. Essi dovettero combattere le battaglie e prendere possesso dei nuovi territori. E, come Giosuè ricordò loro nel suo ultimo discorso prima di morire, la loro ubbidienza alla Parola di Dio avrebbe determinato il possesso duraturo della terra.


Giosuè, il cui nome significa “Dio salva”, fu il successore di Mosè ed un gran condottiero. Nato schiavo in Egitto, aveva quarant’anni al tempo dell’esodo dal paese della schiavitù, ottanta quando ricevette il mandato come successore di Mosè e centodieci al momento della sua morte. A Cadesh-Barnea, fu uno dei dodici uomini che andarono in missione ad esplorare il paese di Canaan e uno degli unici due che ritornarono con un rapporto favorevole, nella piena fiducia che Dio avrebbe dato loro la terra. Fu un uomo di coraggio, che dipendeva da Dio, una guida, un uomo di fede,  caratterizzato da entusiasmo e fedeltà.

 

IL LIBRO DI GIOSUÈ IN BREVE

I primi cinque capitoli del libro ci descrivono la preparazione alla conquista della terra promessa. L’attraversamento del fiume Giordano, per entrare nella terra di Canaan, rappresentò il principale punto di svolta della fede degli Israeliti. Per miracolo di Dio, l'acqua che scorreva nel fiume si fermò, permettendo così al popolo di attraversarlo e raggiungere la terra promessa. Quasi quarant’anni prima, i figli di Israele avevano affrontato una situazione simile, attraversando il Mar Rosso mentre erano in fuga dall’Egitto, per nascondersi nel deserto del Sinai. Ma invadere la terra di Canaan attraversando il fiume Giordano richiese molta più fede, perché, se attraversare il Mar Rosso per loro aveva significato la salvezza dall'esercito egiziano,  attraversare il Giordano, invece, significava andare volontariamente a fronteggiare le popolazioni bellicose che occupavano il paese.


Nei capitoli da 6 a 12 leggiamo la storia della conquista del paese. Un passo importante fu la conquista di Gerico che venne espugnata seguendo gli ordini precisi dati da Dio. L'intera vicenda, che tra l'altro è davvero avvincente, dimostra ancora una volta che nulla è impossibile a Dio, persino far crollare una città fortificata senza utilizzare nemmeno un'arma.


Dal capitolo 13 al 22, troviamo la ripartizione delle terre conquistate, mentre negli ultimi due capitoli leggiamo le esortazioni di Giosuè al popolo che aveva guidato alla conquista del paese.

Non ci furono solo vittorie, ma anche disubbidienze e sconfitte. Il libro di Giosuè mostra che, ogni volta che gli Israeliti facevano affidamento sulle proprie forze anziché su Dio, i risultati erano disastrosi, come pure quando permettevano che il peccato entrasse nella loro vita. Questo scritto ci presenta la fedeltà di Dio, che diede ad Israele la terra promessa, ma anche il parziale fallimento di Israele, che non riuscì a prenderne possesso pienamente.

Il concetto chiave del libro di Giosuè non è la vittoria, bensì che è Dio che dà la vittoria. Infatti leggiamo quasi sul finale del libro:

«E il SIGNORE diede loro pace da ogni parte, come aveva giurato ai loro padri; nessuno di tutti i loro nemici poté resistere davanti a loro; il SIGNORE diede loro nelle mani tutti quei nemici. Di tutte le buone parole che il SIGNORE aveva dette alla casa d'Israele non una cadde a terra: tutte si compirono»  (Giosuè 21:44-45).

 

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